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Curiosità

Avengers Endgame, trailer ed analisi.

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Avengers Endgame
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Qualche giorno fa è uscito il primo trailer del quarto capitolo di “Avengers” intitolato “Avengers Endgame”.

Pur non rivelandoci nulla di nuovo, quasi come un effetto “Sauron”, il trailer fa schizzare sicuramente l’hype del pubblico alle stelle. Tutto questo grazie ad un magico montaggio video ed un’ottima selezione del comparto musicale che non delude le aspettative, facendo entrare lo spettatore nell’angoscia, nella rassegnazione e nel clima di sconforto proprio dei supereroi che ci vengono mostrati.

Il video inizia mostrandoci un Tony Stark rassegnato come non si è mai visto prima (anche se sembra molto simile ai primi minuti del primo film di Iron Man, quando Tony viene fatto ostaggio dai terroristi). Si trova alla deriva nello spazio su un’astronave, apparentemente da solo, intento a registrare un messaggio di addio per Pepper Potts, con la quale avrebbe dovuto sposarsi. Tony spiega (con un pizzico di ironia tipico del personaggio) che, malgrado stia per morire a causa dell’esaurimento di ossigeno, la ragazza sarà nei suoi pensieri quando si addormenterà. Successivamente udiamo la voce di Vedova Nera, che spiega di come il piano di Thanos, di sterminare metà delle forme viventi dell’universo, abbia effettivamente funzionato. Mentre Natasha parla vi sono varie inquadrature che ci mostrano i supereroi sopravvissuti allo schiocco, dei quali vengono rivelati gli stati d’animo passando dalla disperazione di Bruce Banner, intento a vedere su dei monitor i compagni scomparsi, alle lacrime di Steve Rogers, per arrivare a quello che sembra un Thor rassegnato, ma quanto mai furioso. Viene inquadrata Nebula, anch’essa su di un’astronave intenta probabilmente a pensare alla scomparsa della sorella Gamora mentre tocca il sedile in cui quest’ultima era solita sedere. Non ci viene mostrato se sia in compagnia di Tony Stark o meno. Sarebbe strano se non lo fosse, in quanto alla conclusione dello scorso capitolo i due erano gli unici superstiti del combattimento avvenuto sul pianeta Titano. Successivamente l’inquadratura si sposta su Ronin, intento, probabilmente, a farsi giustizia da solo su un uomo atterra. L’eroe poi si gira verso un’incredula, quanto lo spettatore, Natasha Romanov, e togliendosi la maschera rivela di essere in realtà Occhio di falco, che precedentemente aveva dichiarato la sua attività di supereroe conclusa ; il tutto mentre come sottofondo si odono le parole di Steve Rogers, il Cap, che probabilmente sta tenendo un discorso di incoraggiamento ai suoi compagni, nel quale ammette la sconfitta totale con la quale hanno perso amici, familiari ed addirittura parte di loro stessi (probabilmente come nel caso di Flint, dove una delle speculazioni recenti vuole che a causa della perdita della sua famiglia, dopo lo schiocco di Thanos, abbia assunto una nuova identità, appunto Ronin) e che combatteranno per la sopravvivenza. Successivamente si torna Vedova Nera e Steve Rogers, con la spia russa che incita il Cap dicendogli che funzionerà, e quest’ultimo le risponde che lo sa bene che funzionerà, perché altrimenti non saprebbe più che fare; lasciando presagire che i due (e probabilmente tutto il gruppo rimasto) hanno un piano per risolvere la situazione anche se ovviamente non viene ancora rivelato nulla di preciso, neanche un accenno, per cui le numerose teorie che si sono succedute in questi mesi su viaggi paralleli, o nel tempo, non vengono né confermate né smentite. Dopo di che viene finalmente rivelato il titolo del film “Avengers Endgame”, confermando che, molto probabilmente quest’ultimo fil andrà un po’ a chiudere quell’arco narrativo che si è sviluppato a partire dal primo film di Iron Man nel 2007, che comprende una ventina di film e tre fasi del Marvel Cinematic Univers(il che è molto probabile visto il mancato rinnovo dei contratti ad alcuni membri del cast, uno su tutti Chris Evans). Facendo presagire un cambio, o meglio un rinnovamento nel mondo cinematografico di Marvel, probabilmente con una nuova generazione di supereroi, o meglio incentrando il nuovo arco narrativo su coloro che originariamente non facevano parte dell’iniziale team dei Vendicatori. Il Trailer si chiude con Ant-man, alias Scott Lang, che si trova probabilmente al portone del quartier generale degli Avengers e che chiede alla telecamera di sorveglianza se c’è qualcuno in modo da poter entrare, rompendo un po’, a suo modo, quella tensione che si era creata nel resto del trailer, lasciando lo spettatore incredulo quanto spaesato: Cap chiede a Natasha se si tratta di una vecchia registrazione, in quanto dall’ultimo film di Ant-man non si avevano più notizie dello stesso Uomo-formica. Alla conclusione di tale film il supereroe rimaneva imprigionato nel regno quantico, apparentemente senza una via di fuga, in quanto in quel momento Thanos, schioccando le dita, provoca la scomparsa, tra gli altri, anche di Hank Pym, sua moglie e sua figlia, ovvero le uniche persone che sapevano che in quel momento Scott era nel regno quantico e le uniche che erano in grado di riportarlo indietro.

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Insomma, come preannunciato il trailer non rivela assolutamente nulla, né trame ne piani d’azione dei personaggi. L’unica cosa che ci viene detta è che in questo film saranno i due grandi assenti dello scorso “Avengers Infinity War”, ovvero Occhio di Falco (ora nei panni di Ronin) e Ant-man, ad avere un ruolo di spessore in questo capitolo; senza scordarsi della nuova supereroina Captain Marvel (e perché no anche di Valchiria, che come i fratelli Russo hanno confermato, è riuscita a salvarsi prima che la nave degli asgardiani venisse attaccata da Thanos). A tale proposito vi sono state centinaia di speculazioni ed ipotesi su come questo nuovo lungometraggio dedicato ai Vendicatori possa svolgersi e concludersi. Si potrebbe assistere ad un viaggio temporale grazie all’energia quantica raccolta proprio da Scott Lang nel reame quantico, impedendo che il “Titano Pazzo” schiocchi le dita, o comunque impedire l’avverarsi degli avvenimenti che hanno portato alla situazione attuale. Oppure potrebbe essere che la metà della popolazione dell’universo non sia veramente morta, ma si trovi intrappolata nella gemma dell’anima (la dimensione con la luce arancione dove Thanos incontra Gamora subito dopo aver schioccato le dita) e che quindi serva il sacrificio di qualcuno dei nostri eroi per poterla recuperare e liberare tutti. Si potrebbero scrive interi libri su queste teorie. Forse più che farci capire qualcosa, questo trailer ha avuto la funzione di tenerci ancora più sulle spine di quanto non lo fossimo già in precedenza, quindi (a mio parere) questo potrebbe essere più un teaser che non un trailer. Fino ad ora il grande pubblico è stato diviso sulle valutazioni di questa saga cinematografica, ma volenti o nolenti stiamo tutti aspettando di andare al cinema e vedere con i nostri occhi che cosa ci riserva questo film. Purtroppo, o per fortuna, bisogna spettare il 26 aprile per confermare o smentire le idee che ci siamo fatti. L’attesa è alle stelle più che mai.

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Nicolò Zanardi

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Immagini:

https://www.pinterest.it/

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13 DICEMBRE: SANTA LUCIA

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Santa Lucia

Santa Lucia (Siracusa, 280/285 d.C. – Siracusa, 13 dicembre 304 d.C.), una delle figure più care alla devozione cristiana, sarebbe morta martire sotto Diocleziano, attorno all’anno 304.
Nelle catacombe di Siracusa, le più estese al mondo dopo quelle romane, è stata ritrovata un’epigrafe marmorea risalente al IV secolo che costituisce la testimonianza più antica del culto della Santa.

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Lucia nacque a Siracusa da una famiglia nobile cristiana e quando suo padre morì, Lucia era ancora piccola e fu sua madre Eutichia ad educarla personalmente. Ancora bambina fece voto di castità ma  nonostante questo venne promessa sposa ad un uomo innamoratosi di lei per via della sua straordinaria bellezza.
Un giorno Lucia propose alla madre, da tempo malata, di recarsi in pellegrinaggio a Catania in occasione dell’anniversario del martirio di Sant’Agata, per chiedere la grazia.
Le due donne pregarono intensamente e assistettero alla messa; poi Lucia, stanca a causa del viaggio, si addormentò. Durante il sonno le apparve Sant’Agata che le predisse che sarebbe diventata santa e che sua madre sarebbe guarita. Una volta tornata a Siracusa, Lucia confessò alla madre, nel frattempo guarita, di volersi consacrare a Cristo e di voler donare tutte le sue ricchezze ai poveri. In un primo momento la madre tentò di dissuaderla ma poi vedendo che la figlia era decisa, si offrì di aiutarla a realizzare il suo desiderio.

Appena seppe che madre e figlia vendevano i loro averi, il promesso sposo chiese spiegazioni ad Eutichia che, mentendo, disse che i soldi sarebbero serviti per un investimento sicuro; ma

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Figura 1: Jacobello del Fiore, Lucia nelle fiamme del rogo, 1410 ca., Pinacoteca civica di Fermo

poi, scoperto che Lucia era cristiana, decise di  denunciarla all’arconte Pascasio.

L’arconte, durante il processo, cercò, invano, di far rinnegare a Lucia la sua fede cristiana.
Allora Pascasio ordinò che fosse portata in un postribolo, ma i soldati cercarono di sollevarla senza riuscirci. L’arconte, allora, si convinse che fosse una strega ed ordinò che fosse trascinata da due buoi ma anche i due animali non riuscirono a spostarla. A quel punto Pascasio decise che fosse arsa viva e così Lucia fu ricoperta di pece ed olio ma il corpo prese fuoco senza bruciare. Si decise quindi che venisse decapitata con un colpo di spada.
In realtà non c’è certezza su come sia stata uccisa la Santa, poiché secondo il Martyrion greco alla giovane fu mozzata la testa con un colpo di spada, mentre secondo la Passio latina fu colpita alla gola con un colpo di lancia.

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Oggi Santa Lucia viene festeggiata il 13 dicembre in molte parti d’Europa.
In Svezia, il “Luciadagen” prevede che la sera prima della ricorrenza i bimbi preparino dolci e biscotti, mentre la mattina del 13 la figlia più grande, svegliatasi all’alba, deve indossare un lungo abito bianco legato in vita da un nastro rosso e mettere sul capo una corona di foglie con sette candele che le permettono di vedere al buio e poi, seguita da fratelli e sorelle, deve svegliare i genitori e offrire loro i biscotti.

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Nel Nord Italia, invece, i bambini scrivono una lettera alla Santa indicando i regali che vorrebbero ricevere mentre i ragazzi più grandi, per accrescere la loro attesa, durante la sera precedente girano per le strade suonando un campanello da messa e invitando i piccoli ad andare subito a letto. Per ringraziare Santa Lucia, si lascia del cibo (arance, biscotti, caffè, mezzo bicchiere di vino rosso) e fieno per l’asino che trasporta i doni. Al loro risveglio, i bambini troveranno i doni vicino al piatto con arance e biscotti consumati.

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Secondo la tradizione, Santa Lucia è la protettrice dei non vedenti e di chi ha difetti di vista, di oculisti ed elettricisti, infatti Lucia significa “luminosa”, “portatrice di luce”. Solitamente viene rappresentata con gli occhi su un piatto perché considerati amuleti contro il malocchio; altri attributi della santa sono il giglio, simbolo di purezza, la palma, che simboleggia il martirio, ed il Vangelo.

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Lucia Zavatti

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BIBLIOGRAFIA

  1. Grande Libro dei santi, vita, morte e miracoli dei santi più amati della cristianità, Rusconi Libri s.p.a., Cina, 2013.

SITOGRAFIA

  1. www.santiebeati.it

  2. www.insvezia.com

  3. www.famigliacristiana.it

 

IMMAGINE:

- Jacobello del Fiore, Lucia nelle fiamme del rogo, 1410 ca., Pinacoteca Civica di Fermo

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APRE I BATTENTI IL MoMA DI NEW YORK

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MoMA New York

Apriva i battenti il 7 novembre del 1929, a New York, il MoMA, Museum of Modern Art, a Midtown Manhattan, sulla 53esima strada, tra la 5° e la 6° Avenue. 
Scelta azzardata, poiché l’apertura avveniva pochi giorni dopo il crollo della borsa americana e nel bel mezzo della Grande Crisi. L’idea venne da un gruppo di donne, le cosiddette “The Ladies”, di cui facevano parte Abby Aldrich Rockefeller, moglie di Jhon D. Rockefeller, Lillie P. Bliss e Mary Quinn Sullivan. La loro idea era quella di creare un centro di ritrovo per tutti gli artisti americani moderni e contemporanei e di allargarlo poi a tutti gli artisti del mondo. 
Molto probabilmente le Ladies non immaginavano nemmeno che sarebbe diventato uno dei musei più importanti, conosciuto a livello internazionale. La prima sede del MoMA, acronimo con il quale il museo è conosciuto in tutto il mondo, e che all’epoca era soltanto una galleria, si trovava al dodicesimo piano del Manhattan’s Heckscher Building, mentre l’attuale sede si trova in un luogo che, originariamente, era un appezzamento di terreno appartenente alla famiglia Rockefeller e che Mr. Rockeffeler regalò a sua moglie per permetterle di costruire una sede più idonea. 
Dal 1937 il Museum of Modern Art si trova nel Rockefeller Center ma fu aperto al pubblico quasi dieci anni dopo la prima inaugurazione, cioè soltanto il 10 maggio 1939, ottenendo un enorme successo. All’evento parteciparono circa 6.000 invitati, con il presidente Roosevelt che in collegamento radio dalla Casa Bianca, tagliò virtualmente il nastro. In quei 10 anni, dal 7 novembre 1929 al 10 maggio 1939, il MoMA accrebbe la sua fama: il 4 novembre del 1935 venne organizzata un’esposizione dedicata a Vincent van Gogh con 50 disegni, lettere originali dell’artista e 66 dipinti ad olio provenienti direttamente dall’Olanda. 
Era il primo passo verso il successo. 
Quel 7 novembre 1929 era nato un sodalizio tra artisti americani ed europei, sodalizio tutt’ora esistente, che ha permesso a questo museo di essere tutt’ora uno dei più importanti musei del mondo. 
Nel 2004 il MoMA è stato ristrutturato dal giapponese Yoshio Taniguchi ed ha una superficie espositiva di 12.000 metri quadrati. 
Conserva oltre 150.000 opere, tra cui i dipinti dei più grandi artisti del 900 come Boccioni, Dalì, Cezanne, Monet, Picasso, Pollock e Kandiskij, di cui 70.000 catalogati con schede personali, oltre 30.000 libri e periodici ed è un luogo artistico di grande valore nel cuore di Manhattan.

Lucia Zavatti

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SITOGRAFIA:
- per consultare online l’intera collezione del museo: https://www.moma.org/collection/ 
https://www.informagiovani-italia.com
IMMAGINE:
-Ingresso del MoMA di New York

Non perdetevi tutte le altre Curiosità della nostra Rubrica: 
https://ignotus2018.wixsite.com/ignotusmagazine/curiosita

 

GODZILLA, Il Mostro Atomico

Nel novembre del 1954 il Giappone cadeva preda del terrore. Dopo aver patito una tragica sconfitta nella Seconda Guerra Mondiale, ancora una volta le città, la popolazione e le forze armate erano vittima di un nemico inarrestabile, feroce, vorace e munito di temute armi atomiche alle quali non poteva sfuggire nessuno. Fortunatamente, però, tutto questo terrore si vide soltanto all’interno delle sale cinematografiche con l’uscita del primo film di Godzilla. 
La storia di questo "Re dei mostri" è intricata, soprattutto per la grande quantità di film che sono stati creati su di lui oltre che per il suo essere antagonista in alcuni e protagonista in altri. Il punto focale (nonché obiettivo principale) della creazione di questo personaggio resta però sempre lo stesso: guidare una campagna contro le armi nucleari (dopo tutto chi avrebbe più ragione di farlo dei giapponesi?). 
Godzilla è il primo di una serie di mostri dalle origini misteriose: i Kaiju, esseri giganteschi potenziati a causa delle radiazioni emesse dai test nucleari, che li rendono pericolosi ed instabili. Questo enorme Lucertolone preistorico è quindi in grado di resistere ai colpi delle armi pesanti create dall'uomo, oltre che creare un raggio distruttivo in grado di sciogliere, incendiare e distruggere qualsiasi cosa; ciò gli conferisce non solo un potere distruttivo illimitato, ma, per sconfiggerlo, l'uomo ha bisogno di armi mai prodotte prima: nella sua prima apparizione cinematografica, per sconfiggerlo fu necessario creare un’arma ancora più devastante di quelle atomiche, chiamata Oxygen Destroyer, la quale andò poi perduta insieme al suo creatore per impedire che l’umanità si autodistruggesse cercando di impiegarla per nuovi scopi bellici, proprio come stava facendo con la bomba atomica. Sbarcato nelle sale cinematografiche estere, Godzilla divenne protagonista di ben 29 pellicole (oltre che serie animate, televisive, fumetti e videogiochi), il che lo rende tutt'ora, uno dei mostri più famosi e amati da tutti.

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Emanuele Bacigalupo - Tommaso Debernardis

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Godzilla 1954

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#ignotusmagazine #ignotus #magazine #godzilla #curiosità #mostroatomico #1954 #film #movie #Giappone #video

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Picasso: un "Dipinto-Esorcismo" 

“Quando andai al vecchio Trocadero, ne fui disgustato. Il mercatino delle pulci; l’odore. Ero da solo. Volevo andarmene, ma non lo feci. Rimasi. E rimasi. Compresi che si trattava di qualcosa di molto importante: mi stava davvero succedendo qualcosa. Le maschere non erano simili a nessun altro pezzo scultoreo. Per nulla. Erano oggetti magici… tutti i feticci erano usati per la stessa cosa. Erano armi […] Erano strumenti. Se diamo forma agli spiriti, diventiamo indipendenti. Gli spiriti, l’inconscio, le emozioni – sono tutte la stessa cosa.

Compresi. Compresi perché ero un pittore. Tutto solo in quell’orribile museo, con maschere, bambole costruite da pellerossa, manichini polverosi. Les Demoiselles d’Avignon devono essermi apparse proprio quel giorno, ma nient’affatto a causa delle loro forme; piuttosto, perché si trattava del mio primo dipinto-esorcismo – sì, assolutamente!” 

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(Pablo Picasso, in Leighton, Patricia, “Re-ordering the Universe: Picasso and Anarchism, 1897-1914”, 1989, Princeton University Press, Princeton, p.87)

Pablo Picasso
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Un “dipinto-esorcismo”: ecco come l’artista definì la sua stessa creazione, con la quale diede vita ad una delle opere che più rivoluzionarono il corso della storia dell’arte. Per la ricorrenza della nascita di Pablo Picasso, nato a Malaga il 25 ottobre del 1881, sembra doveroso ricordare il singolare punto di partenza di una tale svolta.

Il contesto storico e culturale è quello delle Avanguardie Storiche dei primi anni del Novecento: in questo clima così effervescente e proiettato direttamente verso il futuro, Picasso venne paradossalmente affascinato da manufatti antichissimi, quali possono essere le maschere rituali africane e polinesiane dell’allora museo etnografico del Trocadero. Ciò che più colpì l’artista fu la totale assenza di ricerca naturalistica nella realizzazione delle maschere stesse, fatte di forme stilizzate e quasi astratte che suggeriscono l’idea di parti del corpo o di altri elementi. Come comprese l’artista, in una sorta di “illuminazione”, questa assenza non era dovuta ad un’inferiore capacità artistica, ma alla volontà ben precisa di quelle culture di dare forma a delle essenze, di presentarle (“renderle presenti”) attraverso delle immagini e di animarle tramite la danza e i rituali stessi, al fine di creare un’intima comunicazione tra gli esseri viventi e la terra. 

Fu proprio questa (ri)scoperta del passato a gettare nuova luce sul presente e sul futuro, confermando dei processi di trasformazione che in quegli anni (intorno al 1906) erano già in atto: cosa doveva essere in fondo l’arte, se non questo? L’arte doveva liberarsi dal giogo della pura bellezza estetica – fondamento per eccellenza della creazione artistica del passato – e, allo stesso tempo, dal suo ruolo di mera copia del visibile. L’arte doveva essere essenzialmente comunicazione, “una forma di magia” che permettesse di dare forma all’invisibile per poterlo comprendere: “agli spiriti, all’inconscio, alle emozioni”, al mondo stesso, nella percezione sempre soggettiva che l’uomo dà di esso.

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Martina Panizzutt

BIBLIOGRAFIA

- Acton, Mary, “Guardare l’arte contemporanea”, 2008, Einaudi, Torino, trad. Alessandro Bertinetto

- Bertelli, Carlo (a cura di), “La storia dell’arte. Novecento e oltre”, vol. 5, 2010, Pearson Italia, Milano-Torino

- Leighton, Patricia, “Re-ordering the Universe: Picasso and Anarchism, 1897-1914”, 1989, Princeton University Press, Princeton

 

IMMAGINE

- Pablo Picasso, Les Demoiselles d’Avignon, 1907, olio su tela, 243.9 x 233.7 cm, MoMA, New York

"I SOMMERGIBILI DELLA GUERRA CIVILE AMERICANA: DAVIDE CONTRO GOLIA"

Nel corso della Guerra Civile Americana (1861-1865) il mondo della marina militare entrò in contatto con nuove e incredibili armi, che difficilmente riusciremmo ad immaginarci nel mezzo di un conflitto del XIX secolo, quali le navi corazzate, i sommergibili e le mine subacquee. Strumenti diventati celebri nel primo conflitto mondiale, ma che riuscirono a provare la loro efficacia “prestando servizio” per la Marina Militare degli Stati Confederati del Sud (Confederate States Navy).
Rispetto alla controparte nordista, i sudisti mancavano di un sistema industriale efficiente con cui potersi fornire rapidamente delle navi e delle armi necessarie per affrontare quel colosso che era la Marina Militare Statunitense (United States Navy), ma soprattutto mancavano di naviglio, pertanto fu necessario ricorrere a strumenti innovativi e moderni, la cui produzione venne incoraggiata dal ministro della marina Stephen Russel Mallory
Celebre fu la battaglia di Hampton Roads, dove l’ariete corazzato CSS Virginia ebbe modo di affondare due tra le fregate più potenti della U.S. Navy, prima di scontrarsi con l’insolita quanto potente USS Monitor (la prima nave corazzata nordista); invece le mine subacquee distrussero più di 50 navi nordiste apportando un notevole supporto difensivo. 
A fornire un contributo in attacco, parlando sempre della guerra subacquea, accorsero invece i sommergibili, dei quali il più famoso è sicuramente l’Hunley, un mezzo primordiale, che la notte del 17 febbraio 1864 colò a picco la fregata a vapore USS Housatonic (1240 tonnellate), diventando così il primo sommergibile della storia ad affondare una nave in combattimento. Primato che per un soffio non gli venne sottratto dal suo contendente, il battello d’assalto David
Questo battello aveva una linea a «forma di sigaro, era lungo una dozzina di metri con un diametro di poco più di due; nell’interno recava una piccola ma potente macchina a vapore ed era mosso da un’elica a due pale. Due pinne stabilizzatrici e una chiglia ne garantivano l’equilibrio idrostatico; nel centro un piccolo boccaporto assicurava l’ingresso all’equipaggio di quattro uomini[1]». Per necessità tecnica, durante la navigazione rimaneva semisommerso lasciando esposti soltanto il boccaporto e la ciminiera. L’armamento era composto dalla classica asta, lunga una decina di metri, a cui era fissata una torpedine con 20 chili di esplosivo.
Simile al piccolo Davide che sfidò il gigante Golia armato di fionda, il David ottenne il suo primo impiego il 5 Ottobre 1863 contro la Pirofregata New Ironside. Al suo comando c’era il tenente W. T. Glasses
Protetto dalla quiete della notte, da una nebbia sottile e da una verniciatura mimetica (ancora da identificare), il battello d’assalto manovrò indisturbato venendo avvistato soltanto a 100 metri dalla sua preda, ma a quel punto era troppo tardi. La torpedine esplose danneggiando gravemente la New Ironside, ma non lasciò il David incolume. Di per sé il battello non subì danni, ma fu travolto da un’onda che superò la ciminiera portando l’acqua a spegnere i fuochi della sua macchina a vapore, facendo temere a Glasses il peggio. Impossibilitato a navigare il David era alla mercé dei cannoni nemici, così scelse di abbandonare il battello insieme ai sui tre marinai, soltanto che dalla corazzata non giunse alcun colpo. Glasses ed uno dei suoi finirono prigionieri, mentre gli altri due trovarono il modo di tornare a bordo del David, accendere i fuochi e rientrare alla base. 
In quanto alla New Ironside, le sue corazze avevano retto alla forza dell’esplosione salvandola dall’abisso, ma i danni dello scafo furono tali da necessitare comunque delle dovute riparazioni, così la corazzata venne allontanata da Charlestone e inviata a Port Royal. L’attacco del David poteva così definirsi un piccolo successo. Nonostante non fosse riuscito ad affondare il suo bersaglio, quanto meno riuscì a tornare indietro con parte del suo equipaggio. Fortuna che mancò invece all’Hunley, affondato in circostanze ancora poco chiare insieme alla sua stessa vittima. 

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Emanuele Bacigalupo

Sommergibili Confederati
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Immagine 1: Battello d'assalto David

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Immagine 2: Sezione del David

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Immagine 3: Sommergibile Hunley. RIspetto al David teneva una struttura molto simile al Nautilus, il sommergibile realizzato da Robert Fulton per Napoleone Bonaparte. 

Note
[1]R.Luraghi, Storia della guerra civile americana, cit. p. 954

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Immagini 
Immagine 1 David: G. Giorgerini, Storia della marina: Profili, cit. p. 194.
Immagine 2 David: dhttps://www.pinterest.it/pin/498421883746977675/
Immagine 3 Hunley: https://www.pinterest.it/pin/339107046919623670/

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Bibliografia
G. Giorgerini, Storia della marina: da Trafalgar a Tshushima, Milano,Fabbri Editori, 1978.
Luraghi R., Storia della guerra civile americana, Torino,Einaudi, 1966.
Luraghi R., Marinai del Sud, Milano,Rizzoli Libri S.p.A., 1993.
Bacigalupo E., Necessità di un miracolo, Nascita, Crescita e innovazioni della Confederate States Navy, Genova, Unige, 2018.

L'ALBA DELLE ESPLORAZIONI SPAZIALI

Il 4 ottobre 1957 dalla base di Baikonur, nell’attuale Kazakistan, l’Unione Sovietica effettua il lancio del primo satellite costruito dall’uomo: lo Sputnik 1. La riuscita della missione non solo segna “un passo importante” (cit. neanche tanto cit.) per il mondo scientifico e tecnologico ma pone anche l’URSS un gradino sopra gli avversari statunitensi che, negli anni a venire, si troveranno sempre a dover inseguire la controparte d’oltreoceano. I sovietici infatti taglieranno per primi il traguardo dei primati per quanto riguarda: il primo animale lanciato nello spazio (il povero cane Laika, 1957), anche se il primato per il primo essere vivente è da attribuire a dei gloriosi moscerini della frutta targati USA piazzati, penso senza troppa trafila di autorizzazioni da parte dei genitori, su un razzo V-2 tedesco nel 1946; il primo uomo (Yuri Gagarin, 1961) e la prima donna (Valentina Tereškova, 1963), entrambi rientrati sani e salvi alla base. Alle ore 19, 28 minuti e 34 secondi di 61 anni fa inizia dunque l’Era dell’Esplorazione Spaziale che, piccolo personale OT, attualmente sembra essere uno dei pochi ambiti dove l’umanità avanza unita come specie.

Satellite Sputnik
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Fonti Immagini:

https://www.pinterest.it/

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Allegati:

20 Luglio 1969, L'uomo Sbarca sulla Luna e se ne Porta a Casa un Po': Evandro Balbi - Dinesh Kunalan

13 Giugno 1983, Il Primo Veicolo a Lasciare il Sistema Solare: Evandro Balbi - Dinesh Kunalan

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Happy Birthday Boss!

Il 23 settembre 1949 nasce uno dei più amati artisti rock dagli anni Settanta a oggi: Bruce Springsteen. Le difficoltà affrontate da appartenente alla classe operaia americana lo hanno portato a parlare dei più deboli nelle sue canzoni. Celebriamo il suo compleanno citando alcuni dei suoi album più famosi e descrivendo brevemente la storia che li contraddistingue. Attraverso le canzoni, infatti, Bruce Springsteen riesce a raccontare i lati più profondi del popolo americano. Nel 1975 esce Born To Run nel quale troviamo anche Thunder Road e Jungleland: la canzone che da il titolo all’album rappresenta il centro del racconto di Springsteen sul sogno americano e su questa ricerca, dopo tanta fatica, che porterà i giovani vagabondi verso un posto migliore, fuori dalla cittadina in cui abitano.
Nel 1980 arriva The River con ballate romantiche e un sound perfetto da godersi nei viaggi in macchina, non una a caso, ma una bella Cadillac. Springsteen celebra, in questo disco, l’amore e le relative difficoltà, descrive la storia di una coppia costretta a sposarsi perché in attesa di un bambino, della crescita improvvisa di questi due ragazzi che riescono a trovare serenità proprio in questo locus amoenus che è il fiume.
Quattro anni dopo nasce Born In The USA, in cui le ballate non sono più romantiche ma trasudano rock puro e in quest’album troviamo successi conosciuti anche dai più giovani: Dancing In The Dark, Glory Days, No 

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Bruce Springsteen

Surrender, I’m On Fire. Born In The USA è una denuncia alla guerra e agli effetti negativi che hanno colpito gli americani in seguito a essa. “Got in a little hometown jam, So they put a rifle in my hand, Sent me off to a foreign land, To go and kill the yellow man”, “mi sono cacciato nei guai nella mia città così mi misero un fucile tra le mani mi inviarono in una terra straniera per andare e uccidere l'uomo giallo.” Si arriva così, passando attraverso Human Touch (1992), The Rising (2002) (in cui uno dei temi trattati è quello delle Torri Gemelle), Devils & Dust (2005), Magic (2007), Wrecking Ball (2012), all’ultimo High Hopes (2014) dove, appunto, le speranze per una vita migliore sono grandi, dove si chiedono solo un po’ di forza e una notte senza provare timore del domani.

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Gli argomenti trattati da Bruce Springsteen sono ancora molto attuali e resta uno degli artisti più impegnati nel sociale, lo dimostra il sostegno dato all’ex presidente statunitense Obama e alla totale contrarietà verso il Trump – pensiero.In conclusione “I ain’t lookin’ for praise or pity, I ain’t comin’ ’round searchin’ for a crutch, I just want someone to talk to and a little of that human touch”..” Non sto cercando preghiere o pietà, non sono venuto alla ricerca di un sostegno, voglio soltanto qualcuno con cui parlare e un po’ di quel tocco umanosolo un po’ di quella umanità.”Buon compleanno, Bruce Springsteen e continua a tenere quelle tre ore di concerto che i cantanti più giovani non sanno nemmeno immaginare.

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L'ANTICA ROMA DEL XVI SECOLO

Nell' arte del 1500 venne ripreso lo stile classico antico, considerato come massima espressione artistica per la perfezione delle forme e delle proporzioni, per la compostezza delle figure e l’equilibrio geometrico delle composizioni. Equilibrio che tenderà ad essere rotto già con Michelangelo - le cui figure si aprono in posizioni contorte e in scorci prospettici tesi a mostrare il virtuosismo della sua pittura - per poi rompersi definitivamente con il seicento barocco, sprigionando un’energia e una fantasia di forme mai vista prima.
Nelle foto potete vedere una statua antica dell’imperatore Tiberio conservata a Villa Arconati, posta al centro di uno spazio a pianta centrale in cui il tema dell’intera decorazione coincide proprio con l’antico, in particolare con Roma. Gli affreschi alle pareti riproducono le decorazioni architettoniche antiche dei monumenti imperiali romani, come quelle visibili sugli archi trionfali: ad essmpio, vi si possono riconoscere l’aquila imperiale e i cosiddetti “trofei”, fasce rettangolari verticali con la rappresentazione della lorica - l’armatura a busto - e delle armi.
Sulle pareti più ampie, invece, la decorazione finge delle aperture sul paesaggio, tipiche delle ville del cinquecento e poi del seicento: dipinte con una sapiente costruzione prospettica, queste aveva la funzione di “ingannare l’occhio”, creando un collegamento visivo e mentale con gli spazi aperti della villa, i giardini. 

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Roma nel '500

Le ville stesse seguivano i modelli antichi e giocavano sull’alternanza tra spazi aperti e spazi chiusi, ricercando l’equilibrio architettonico. La parete visibile nella foto sembra riprodurre un cortile interno con apertura sul soffitto. Risulta chiaro, dunque, a che punto la statua antica sia stata inserita in uno spazio in cui potesse dialogare, consapevolmente, sia con l’architettura che con la decorazione parietale, creando un insieme omogeneo in cui tutto parla della grandezza di Roma e della bellezza monumentale dell’antico, che rivive così ancora a distanza di secoli.

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Martina Panizzutt

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DEUTSCHE SOLDATEN

Muovendoci su un piano decisamente lontano da quello politico, oggi soffermeremo brevemente la vostra attenzione su di un aspetto poco trascurabile della seconda guerra mondiale: l’equipaggiamento del soldato tedesco. 
Come sappiamo i tedeschi del Terzo Reich (1933-1945) sono noti per aver conquistato l’Europa grazie alla Blitzkrieg, quell’elaborata strategia di attacco basata sulla perfetta coordinazione tra artiglieria, aviazione e fanteria (meccanizzata e non). A porre sempre i tedeschi un passo avanti agli altri però erano i mezzi con cui muovevano i loro attacchi e dalla conquista della Polonia (1939), fino alla battaglia di Berlino (1945), la fanteria ebbe sempre a propria disposizione uno degli equipaggiamenti più moderni e completi del tempo. 
Nelle foto allegate potete notare alcuni elementi di questo sofisticato equipaggiamento, composto per cominciare dalle giacche feldbluse in panno di lana grigio verde e da pantaloni di eguale tessuto e colore. Per quanto pizzicassero, queste uniformi erano molto resistenti e permettevano di adattarsi a svariate temperature (ad eccezione ovviamente dei 40 gradi dell’Africa e dei -40 gradi della Russia). A comporre il resto c’erano poi diversi elementi in cuoio, a partire dal cinturone intorno al quale si facevano scorrere due porta caricatori da 30 colpi l’uno, un tascapane per gli oggetti personali, una pala, una baionetta e una pistola (in particolare per sottoufficiali e ufficiali). Al tascapane si potevano fissare anche la gavetta e la borraccia. 

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Deutsche Soldaten
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Per sostenere tutto il peso gravante sul cinturone la giacca disponeva di quattro ganci metallici (2 davanti e 2 dietro), ma un’ulteriore distribuzione del peso veniva garantita dagli spallacci a Y. Su quest’ultimi poi si potevano fissare anche gli zaini. 
Riguardo alle calzature, le prime erano composte da resistenti stivali di cuoio, i quali vennero poi sostituiti da più comodi scarponcini a cui veniva abbinato un paio di ghette (modelli diffusi in particolare dal ’43 in poi). 
L’armamento variava a seconda del grado del soldato. I fanti venivano muniti dei famosi mauser k98, mentre a sottoufficiali e ufficiali veniva distribuito l’mp40 (pistola mitragliatrice). Ai mitraglieri spettava invece “l’abominevole” MG34 o la MG42 (quest’ultima capace di sparare più di 1000 colpi al minuto). Gli ultimi elementi che possiamo citare, per pura mancanza di spazio, sono il porta maschera antigas (collocati dietro la schiena, utilizzati in particolare nei primi anni del conflitto in seguito alla paura giustamente diffusa verso i gas dopo la Grande Guerra) e i teli mimetici zeltbhan. Quest’ultimi avevano una forma triangolare, potevano essere fissati agli spallacci, al porta maschera antigas, oppure indossati come copertura mimetica e antipioggia. La loro funzione principale però era quella di comporre le tende per i soldati (quattro zeltbhan formavano una tenda per quattro persone).

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Soldato tedesco (Schütze) armato di K98 Mauser.

Sulla schiena porta tre casse di munizioni, sotto le quali si possono notare il tascapane, la borraccia appesa a quest'ultimo e un telo Zeltbhan arrotolato e agganciato alla cintura.

Sul davanti si possono notare i porta caricatori del k98.

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Sergente tedesco (Unteroffizier) armato di Machine Pistole 1940 (MP 40)

Da sinistra verso destra si possono notare un portaordini, una pala, una coperta, il tascapane e la borracia. 

Come calzatura indossa scarponcini con ghette.

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Caporale tedesco (Gefreiter) armato di fucile d'assalto Sturmgewehr 44 e lancia granate anticarro Panzerfaust.

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Anche se si tratta di una descrizione un po’ sbrigativa speriamo di avervi mostrato qualcosa di interessante riguardo alla storia della Seconda Guerra Mondiale. Quello che possiamo assicurarvi è che l’equipaggiamento tedesco, anche se un po’ difficile da indossare, era moderno e a tratti impareggiabile. Forse soltanto gli americani riuscirono a crearne uno di pari valore, ma per scoprirlo occorrerà aspettare una nuova pubblicazione.

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Ringraziamo vivamente il Gruppo di Rievocazione Storica "Pionier Bataillon"per aver collaborato con noi nella realizzazione di questa piccola pubblicazione. Tutti i lavori di questo appassionato gruppo di rievocazione sono visibili sulla loro pagina facebook. 

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Emanuele Bacigalupo

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Foto di Arianna Vilya Drago

"MICHELANGELO: IL SOGNO"

Michelangelo

Dimmi di grazia, Amor, se gli occhi mei

veggono ’l ver della beltà c’aspiro,

o s’io l’ho dentro allor che, dov’io miro,

veggio scolpito el viso di costei.

(Michelangelo Buonarroti, 1475-1564)

Nel settembre del 1501, a 26 anni, Michelangelo Buonarroti iniziò a lavorare ad una delle opere che più lo renderanno famoso: il David, colosso di quattro metri commissionato dai consoli dell’Arte della Lana e dall’Opera del Duomo e realizzato a partire da un blocco di marmo già sbozzato da Agostino di Duccio e lasciato incompiuto. L’imponenza del “gigante”, oltre a simboleggiare la vittoria della virtù (l’eroe David) sul vizio (Golia) e la libertà e la fierezza della Repubblica Fiorentina, doveva incarnare allo stesso tempo la potenza del genio dell’artista, una nuova consapevolezza che andava maturando proprio in quegli anni sia tra gli artisti che tra gli intellettuali.
Del resto, Ascanio Condivi, nella biografia ufficiale di Michelangelo che redasse nel 1553, testimonia la totale immersione dell’artista nella cultura umanista del tempo, attraverso la sua introduzione nella cerchia di Lorenzo il Magnifico, ambiente di letterati e poeti in cui l’arte era ormai considerata un’attività intellettuale a tutti gli effetti, poiché fondata sull’immaginazione (la facoltà della mente di produrre immagini), ritenuta necessaria al fine di 

accedere all’essenza delle cose. In questa chiave potrebbe essere letto il celebre quanto enigmatico disegno realizzato da Michelangelo intorno al 1533 e definito da Vasari “Il sogno”. Al centro della scena, sopra una cassa, un giovane nudo si appoggia, col corpo in parte disteso, ad un globo, mentre un angelo proveniente dal cielo suona una piccola tromba ponendola a diretto contatto con la sua fronte (e quindi con la sua mente). In secondo

Michelangelo Buonarroti, Il Sogno, carbo

piano e ai lati della composizione, delle figure umane in miniatura, vaporose ed evanescenti, sono rappresentate in preda a movimenti convulsi. Sul fondo della cassa, aperta su un lato, sono visibili delle maschere, tra le quali quella al centro, l’unica con la barba, è stata interpretata come un autoritratto dell’artista. È seducente l’interpretazione (1) che vede nell’intera immagine una rappresentazione dell’ispirazione artistica, fondata sulla potenza immaginativa dell’artista, la phantásia, concepita all’epoca come uno stato semi-onirico della coscienza. In questo modo, il giovane in primo piano sarebbe in procinto di svegliarsi, come da un sonno profondo popolato da mille immagini, della natura dei sogni, che si dissolvono gradualmente nel secondo piano. Per i letterati e filosofi umanisti, infatti, l’artista trova l’idea del bello dentro se stesso, per poi ricercarlo nel mondo esterno: non a caso, il termine “inventare” deriva dal latino “invenio”, che significa “trovare”.

 

Martina Panizzutt

NOTE
1. Yves Hersant (EHESS), La Renaissance et le Rêve, catalogo dell’omonima mostra (ottobre 2013 – gennaio 2014, Musée du Luxembourg, Parigi), 2013, RMN-Grand Palais, Parigi, pp. 13-19

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BIBLIOGRAFIA
- Hersant, Yves (EHESS), La Renaissance et le Rêve, catalogo dell’omonima mostra (ottobre 2013 – gennaio 2014, Musée du Luxembourg, Parigi), 2013, RMN-Grand Palais, Parigi
- De Vecchi, Pierluigi, Cerchiari, Elda, Arte nel tempo. Dal Gotico Internazionale alla Maniera Moderna, 2004, Bompiani, Milano

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SITOGRAFIA
- The Courtauld Institute of Art, http://www.artandarchitecture.org.uk/…/gallery/db9ad1a9.html, ultima consultazione 13 settembre 2018

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IMMAGINI
- Michelangelo Buonarroti, Il Sogno, carboncino su carta, 27,8 x 39,8 cm, 1533 circa, Courtauld Gallery, Londra

CANNONE ANTIAEREO ITALIANO DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE 90/53 mod. 1939.

Per quanto la condotta del Regio Esercito sia contestabile, nel corso del secondo conflitto mondiale questi non mancò di produrre armi ed equipaggiamenti capaci di equivalere quelli dell'alleato tedesco. Un esempio è proprio il cannone 90/53, che vantò un utilizzo e prestazioni simili a quelle del famoso Flak 88 impiegato da Rommel non solo come cannone contraereo, ma anche come cannone anticarro durante la campagna di Francia.
Anche se non privo di difetti, il 90/53 dimostrò di essere efficace sotto molteplici aspetti e venne montato su autocannoni come il Lancia 3Ro, il Breda 52 e sul semovente m.41. Dopo l'8 settembre 1943 subì lo stesso destino di molti armamenti italiani venendo riutilizzato dai tedeschi, soliti ad accaparrarsi i pezzi migliori del defunto Regio Esercito.

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Emanuele Bacigalupo

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Cannone 90/53

Le foto sono state scattate da Arianna Vilya Drago e Emanuele Bacigalupo in collaborazione col Gruppo di Rievocazione Storica "Pionier Bataillon".

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WATER'S FOR THE CHOSEN

‘One Hour by the Concrete Lake’ è il secondo capolavoro della band progressive metal Pain of salvation, dalla durata di un’ora esatta, e verte sulla vicenda di un uomo che lavora in una fabbrica di armi, ma viene subito assalito dai dubbi morali riguardo la sua occupazione. Perciò, decide di intraprendere un viaggio e si accorge che l’impatto della sua professione è nocivo per l’ambiente e per la stessa razza umana. La sesta traccia Water ci presenta una serie di dati sul consumo annuale di acqua delle popolazioni occidentali, a discapito del cosiddetto Terzo mondo, e sulla contaminazione di grandi porzioni di falde acquifere da parte dell’industria bellica e nucleare. Il punto di vista adottato è quello di un occidentale che, a causa della sua posizione privilegiata, non è in grado di capire la relazione che intercorre tra le sue azioni, molto spesso anche quotidiane, e gli effetti che esse provocano a livello di siccità negli Stati più arretrati. ‘Water’s for the chosen’, sostiene il vocalist con una velata critica nei confronti dell’occidentale che sa di trovarsi in una posizione di vantaggio, senza però alcun merito reale se non quello di essere nato nella parte ‘giusta’ del mondo. In seguito, però, la critica si estende all’intera umanità, perchéanche chi è costretto a faticare per ottenere una misera quantità d'acqua potabile, se venisse inserito all’interno della nostra società, finirebbe per comportarsi da avido e ‘sprecone’, dando per scontata la disponibilità dell’acqua corrente. Così come l’acqua è ‘per pochi eletti’, allo stesso modo lo è anche la vita.

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Roberta Rustico

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Water's for the Chosen

RIEVOCAZIONE STORICA 

Esistono momenti in cui la storia necessita di essere tramandata infrangendo quella quarta parete imposta dai libri, dai testi scolastici e dai film; così da offrire alle persone una visone più diretta, cruda e possibilmente realistica dei fatti che hanno segnato il nostro passato e che meritano di non essere dimenticati. A rendere possibile l'abbattimento della quarta parete sono spesso i numerosi gruppi di rievocazione che, dopo essersi documentati accuratamente, si impegnano per toccare con mano la storia riproducendo abiti, uniformi e ambienti ormai appartenenti a tempi lontani.
Uno dei gruppi coinvolti in quest'attività è il Gruppo di Rievocazione Storica "Pionier Bataillon", impegnato dal 2015 a rievocare l'ambiente militare e civile della prima e seconda guerra mondiale collaborando anche con associazioni estere.
Nelle prossime settimane vi mostreremo altri progetti legatialla rievocazione storica medievalemoderna e contemporanea.


Per conoscere meglio il "Pionier Bataillon" potete seguire le sue attività su Facebook e Instagram, oppure visitare il sito web:
https://www.pionierbataillon.com/

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Emanuele Bacigalupo

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Per info: Luka Fritz De GregorioThomas Weise
Video di:Arianna Vilya Drago

Rievocazione Storica

Wehrmacht - Volksgrenadier - Ungarn Hölle 1945 - Pionier Bataillon Gruppe

Tschechoslowakei 1945 • The last men of the Reich - Pionier Bataillon - Part II

AMERICAN TURTLE

Piccolo e dalla forma inusuale, fu il primo sottomarino utilizzato per scopi bellici. Il che accadde nel 1775, nel pieno della guerra d'indipendenza americana, soltanto che il suo tentativo di affondare la fregata inglese Aigle si risolse in un totale fallimento. Negli anni a seguire la guerra sottomarina venne ulteriormente sviluppata grazie al genio di un uomo quasi dimenticato, l'ingegnere americano Robert Fulton, un personaggio dalle insolite aspirazioni che mise le proprie armi al servizio di Napoleone Bonaparte.

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Emanuele Bacigalupo

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Allegati: 

"Robert Fulton: L'uomo che voleva cambiare il mondo" 

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American Turtle

APRILE 1945: LA BATTAGLIA DI BERLINO

“La battaglia di Berlino, una delle più importanti della storia mondiale, una delle ultime del più grande conflitto umano.... eppure su questa battaglia non si trovano molti riferimenti nei libri di storia.
Nell'Aprile del 1945 la guerra aveva raggiunto un punto critico. In Italia gli Alleati stavano per sfondare la linea "gotica" e quindi dilagare nel nord della penisola; ad Ovest gli eserciti anglo americani erano penetrati in Germania e stavano raggiungendo la cittadina di Torgau, dove si sarebbero congiunti insieme all'armata rossa che stava avanzando da Est.
Nonostante la preponderanza degli eserciti alleati e le condizioni precarie in cui versava l'esercito tedesco, con reparti pesantemente sotto organico, le unità germaniche continuavano ad opporre una tenace resistenza.
Il 20 Aprile il primo fronte bielorusso iniziò il bombardamento su Berlino (bombardamento che sarebbe durato fino alla fine della battaglia: il 2 maggio 1945).
All'interno della città erano presenti 94094 uomini provenienti da tutti i rami dell'esercito e delle SS, ma non solo. Oltre a volontari stranieri delle Waffen-SS (estoni, svedesi, norvegesi, spagnoli, francesi, finlandesi, danesi) erano presenti anche poliziotti, pompieri e membri della milizia popolare “Volkssturm” comprendente giovani e anziani armati in maniera spesso inadeguata. Oltre alla milizia è nota la presenza di ragazzi molto giovani appartenenti all'organizzazione "Hitlerjugend".
La battaglia per la conquista della capitale del terzo reich terminò con una grande perdita di vite umane. In totale infatti, considerando anche gli scontri nei sobborghi della città, morirono circa : 125.000 soldati tedeschi e 95.000 civili (per la maggior parte donne, bambini e anziani) mentre i russi ebbero 135.000 morti. Da precisare che gli storici ipotizzano numeri di morti più elevati, in quanto il numero preciso è impossibile da calcolare.
Se da una parte la battaglia era finita, le violenze e le sofferenze nei confronti dei cittadini tedeschi erano appena iniziate.
Dopo la conquista di Berlino, all'armata rossa venne concesso di "sfogarsi" sulla popolazione inerme e terribilmente affamata. Gruppi di soldati sovietici "rastrellavano" le strade, saccheggiando le case, uccidendo gli anziani e stuprando le donne. Purtroppo neanche i bambini furono risparmiati”.

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Collaboratore Francesco Bossi

 

Per mostrarvi la drammaticità della battaglia di Berlino vi presentiamo il lavoro del fotografo Marco Marzilli, che prendendo parte al progetto ideato da Historica Ventesimo Secolo - Associazione di Ricostruzione Storica- è riuscito a riprodurre l'ambiente, le sofferenze e gli orrori di quei giorni. Per garantire una fedele ricostruzione dei fatti è stato importante anche il coinvolgimento di altre associazioni, quali: Gruppo di Rievocazione Storica "Pionier Bataillon", Feldgrau Gruppe, Gruppo di Rievocazione Storica PROGETTO900 

Berlino '45
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