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Sezione di Narrativa

THE SOUND OF SILENCE

di Michela Bianco

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Sound of Silence

TRAMA

 

È una gelida mattina di febbraio quando in National Park viene ritrovato, sommerso dalla neve, il corpo quasi senza vita di Alanis Catween.

Mentre i medici tentano di salvarla l'infermiere Hole trova tra gli abiti della ragazza un diario e senza accorgersene diventa lo spettatore delle vicende della giovane.

Secondogenita di una ricca famiglia, Alanis conduce una vita da normale quindicenne finché i genitori, a causa di un crollo finanziario, abbandonano lei e la sorella in mezzo al caos più totale.

Separate e affidate agli assistenti sociali, Alanis impara a contare solamente su se stessa e a non fare affidamento sulle persone che la circondano, cercando di trovare il suo posto, con forza, per non lasciarsi abbattere in un mondo che non l'accetta.

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PREFAZIONE

Questo romanzo è la storia di una ragazza comune, una tranquilla adolescente che si trova a dover crescere improvvisamente, senza che nessuno le spieghi perchè.

Il suo diario, la sua unica valvola di sfogo, mostra la sua crescita, i suoi pensieri, i suoi sentimenti.

Se ad un primo impatto ci troviamo di fronte a poche frasi, sintetiche e brevi, e un flusso di pensieri che raramente incrocia il 

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dialogo, poco dopo riusciamo ad immedesimarci in lei, a seguire il filo dei suoi pensieri e a trovarci schierati al suo fianco, anche quando non dovremmo. È proprio grazie al suo diario che possiamo portarci allo stesso piano di Alanis, comprenderla e non giudicarla, e capire che dietro ogni facciata c'è sempre qualcosa di più.

La realtà si presenta filtrata dal punto di vista di Alanis, senza la possibilità di un punto di vista oggettivo o di una seconda opinione; l'unica visione esterna è quella dell'infermiere Hole, che riesce pian piano a tirar fuori la verità dalle pagine del diario e a farci comprendere che la realtà non è tutta bianca o nera, ma in mezzo vi sono tante sfumature che Alanis non vuole o non riesce a cogliere, ed è qui che il lettore è chiamato a compiere il suo dovere: deve sbrogliare la matassa dei pensieri di Alanis e capire la realtà, nonostante i dati forniti siano pochi.

Un tema tragico, in cui la protagonista non è solamente una ragazza che subisce ma anche una ragazza che agisce, nel bene o nel male, per trovare il suo percorso. Una serie di tematiche spesso narrate, come l'abbandono, il carcere o la droga, ma qui affrontate in un modo diverso, che permette, se comprese fino in fondo, di cogliere l'argomento nella sua totale complessità, e di cancellare tutti quei pregiudizi che vi stanno intorno.

Alanis è una figura complessa, facciamo fatica a capirla noi proprio come fa fatica a capirsi lei stessa, ed è grazie alla sua complessità che la storia può andare avanti, grazie al suo rancore, al suo disprezzo e al suo cinismo, ma anche alla sua voglia di vivere. Possiamo vedere come un singolo evento sia in grado di cambiarla nel profondo, di agire sul suo umore e sul suo comportamento, fino al punto di chiederci se sia lei a scegliere quella strada o sia una serie di eventi che ce l'hanno condotta.

Nella sua complessità non è mai chiaro fino a che punto Alanis sia colpevole e quando inizi ad essere vittima, e anche se non possiamo condannare Alanis per le sue azioni, non possiamo nemmeno assolverla, ed è qui che sta tutta la difficoltà.

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"CON AMORE E CON CORAGGIO", di ROSANNA BALOCCO

Oggi dedichiamo lo spazio di narrativa al libro di Rosanna Balocco “Con amore e con coraggio”, edito da Marco Sabatelli.

Vi lasciamo con le parole dedicatele da Anna Maria Faldini, autrice e Presidente dell’Ass. LiberArti di Savona.

 

“Questo pomeriggio iniziamo presentando la raccolta di racconti di Rosanna BALOCCO “CON AMORE E CON CORAGGIO” pubblicata da Marco Sabatelli Editore a novembre del 2016.

La scrittura è sicuramente da sempre scolpita nel cuore di Rosanna Balocco, la sua accurata ricerca di vocaboli, atti a raccontare e a conferire sostanza ai suoi scritti, la rende una narratrice esperta, consapevole e coraggiosa, insieme a quel trasporto intellettuale ed emozionale che le permette di trattenere l’attenzione del lettore e di coinvolgerlo a livello empatico. Il titolo contiene le parole chiave di tutto il lavoro di Rosanna: amore e coraggio. Ma i due vocaboli erano in tempi più antichi intercambiabili perché la parola coraggio viene dal latino cor/ cordis, che traduce la parola cuore e avere cuore significava avere coraggio. Aggiungo che al nostro tempo tradizionalmente si pone nel cuore la residenza dell’amore e l’amore ha infinite sfaccettature diverse. Rosanna, nella sua raccolta racconti, prende in considerazione alcune di esse.

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Con Amore e con Coraggio

I racconti, che si svolgono a Savona e nel territorio dell’entroterra ligure e piemontese, si distinguono fra loro per i temi trattati e si differenziano per la cronologia. Potremmo dividerli in gruppi e per argomenti, perché si svolgono durante realtà storiche differenti: quella più vicina al nostro tempo e più intimistica nella quale i buoni sentimenti vincono sempre e quella in cui il lettore viene  coinvolto nella storia della guerra ’40/45 e narra le vicende di alcuni personaggi, alcuni esistiti realmente e altri immaginati, che attraverso la Resistenza hanno combattuto per la libertà.

Le vicende che coinvolgono i protagonisti dei racconti hanno un tema che le unisce, sono tutte all’insegna della tragedia, della lotta fra Bene e Male, le differenzia solo il lieto fine di molte di esse. Leggendo si sente la partecipazione di Rosanna al pathos catartico che suscitano i racconti, dal dolore alla speranza, dalla consapevolezza all’accettazione di ciò che di brutto o di bello la vita porta a tutti, tutte emozioni concrete e veritiere. Come vero è il mondo descritto che è configurato tanto al femminile quanto al maschile. Rosanna è riuscita a calarsi totalmente nei personaggi di cui narra le storie, e tramite loro a raggiungere lo scopo che ogni scrittore si prefigge quello di far partecipare il lettore emozionalmente alla vicenda.

In questa  raccolta l’autrice costruisce, per mezzo della poderosa presenza dell’amore e del coraggio, un fil rouge che abilmente dipana fra la tristezza dell’esistenza, la gioia dell’amore o della ricerca dell’amore, e la felicità, quando esiste il lieto fine. Rosanna ha quindi basato la trama dei suoi racconti su storie di donne e di uomini che danno come lei importanza all’amore, al coraggio, alla famiglia, al sacrificio, alla lotta positiva  per la libertà.

Né più né meno come dovrebbe avvenire nella vita di tutti i giorni. Questo è il grande ed importante messaggio che Rosanna consegna ai suoi lettori.

Non credo che si possa chiedere di più ad una scrittrice!”

 

Non c'è altro da aggiungere ad una recensione che è riuscita a cogliere l'anima dell'opera e a raccontarcela così brevemente.

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Della stessa autrice trovate anche “Ogni cosa al suo posto”, un romanzo drammatico e toccante ambientato durante la resistenza partigiana sullo sfondo  di testimonianze dirette raccolte dall'autrice stessa.

Rosanna affronta, in entrambe le opere, tematiche che, grazie alle sue parole, non risultano né banali né struggenti: è capace di trasmetterci emozioni in modo semplice e diretto, e ci troviamo immersi in vicende così lontane ma allo stesso tempo così vicine a noi.

 

Trovate le opere di Rosanna Balocco presso le librerie di Savona e online.

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Michela Bianco

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Vita da universitario: lo studente fuorisede

Siamo cresciuti con film e serie TV americane che ci fanno sognare i college con i loro campus e i dormitori, le feste da sballo e le confraternite... purtroppo, in Italia non è esattamente così.

Quando inizi l'università scopri che non andrai a un party ogni sabato sera a casa di sconosciuti; la prima persona accanto a cui ti siederai a lezione non diventerà il tuo migliore amico; non studierai finalmente quello che ti piace perchè ci sarà sempre qualche esame che non ha nulla a che vedere con il tuo corso ma che devi dare se vuoi laurearti, e molte altre cose ci sarebbero da aggiungere. Alla fine, l'università non è altro che un luogo di studio, e tutto il resto rimane nella nostra fantasia.

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All'università ci sono quattro tipi di studenti:

– i cittadini: abitano nella città universitaria, vivono con i genitori e fanno dei pasti sani ed equilibrati a casa;

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i pendolari: trascorrono metà della loro vita universitaria a bordo di mezzi di trasporto perennemente in ritardo, arrivano a casa a delle ore improponibili e sono i maggiori fruitori della mensa e del bar universitario;

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i finti fuorisede: hanno un appartamento nella città universitaria, ma ogni weekend tornano nella città natale;

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i fuorisede: abitano a diverse ore dall'università, tornano nella città d'origine qualche volta l'anno e quando lo fanno devono subirsi una decina di ore di autobus perchè economico, o un paio d'ore d'aereo ma svenandosi.

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Per le prime due categorie c'è poco da dire: la loro vita non è molto cambiata da quando andavano alle superiori. È invece sui fuorisede che si potrebbe parlare per ore.

Lo studente fuorisede sceglie di andare a vivere via di casa "per iniziare una nuova avventura", "per mettermi alla prova", "per poter fare quello che voglio quando voglio". E già durante l'estate che precede il trasferimento sogni di gloria su feste in discoteca, serate trascorse coi coinquilini a giocare a "Io non ho mai" e maratone di serie tv si fanno strada nella mente del ragazzo in questione, uniti a un desiderio irrefrenabile di poter finalmente smettere di mangiare la verdura e di potersi ingozzare di patatine e gelato sul divano in santa pace.

Purtroppo, ci si ricrede presto.

La vita da studente fuorisede comincia la domenica pomeriggio, quando lo studente si avvia, con il carrellino della spesa preso con i punti, verso il supermercato a bassocosto più vicino (che in genere si trova a una comoda mezz'ora a piedi dall'appartamento): qui, armato di tessera punti, si appropria di tutti i prodotti in offerta o vicini alla scadenza, di surgelati, pan carrè e, soprattutto, tonno in scatola. Perchè non sei un vero fuorisede se non compri un pacco di tonno in scatola almeno una volta a settimana.

I primi mesi vedranno la dispensa riempirsi di tutti i tipi di schifezze, dai marshmallow a forma di pipistrello ai popcorn alla fragola, ma dopo un po' lo studente inizia ad essere stomacato e decide di condurre una vita sana: decide allora di organizzare una tabella alimentare e un menù settimanale a base di verdure e piatti elaborati come risotto ai funghi o pollo con verdure. Un regime che dura sì e no una settimana, dopo la quale lo studente si ritrova nello stesso supermercato e comincia ad arraffare tutti i tipi di cibo facili e veloci da cucinare, ma nemmeno così indecenti come patatine e wurstel. E anche se lo studente si era ripromesso di non cedere, vede che cominciano ad accatastarsi in cucina i cartoni della pizza, che aumentano in modo considerevole durante la sessione. Tutta colpa di Just Eat, si giustifica.

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Stabilito il menù lo studente fuorisede comincia la settimana universitaria, composta da lezioni a orari indecenti e pranzi trascorsi sui gradini dell'università a mangiare insalata di riso da un contenitore insieme ai compagni di disgrazia.

E finalmente arriva il weekend: i fuorisede sono gli unici delle quattro categorie a rimanere nella città universitaria per tutta la sua durata. "Beati loro", si potrebbe pensare. Le grandi città offrono sempre tanti eventi per giovani e il weekend sarà di sicuro uno sballo. Certo, i primi tempi. Ma poi arriva dicembre: fa freddo, si è stanchi per il carico di lezioni e studio, ma soprattutto è un peccato non usare l'abbonamento Netflix che si paga ogni mese giusto? Pertanto, da bravi ventenni alla ricerca di un'avventura che la città in cui hanno sempre vissuto non ha mai potuto offrire, trascorrono il weekend appallottolati sotto le coperte con pigiama e antiscivolo a guardare come si cucina anfetamina o come si rapina la zecca di stato. E la stessa storia si ripropone a giugno, quando l'afa si sostituisce al gelo e il ventilatore prende il posto delle coperte, ma la routine rimane invariata.

Un altro elemento caratterizzante dello studente fuori sede è la caduta nello sconforto che porta a ripetere in modo lamentoso la seguente frase: "Ma chi me l'ha fatto fare? Voglio la mamma!".

Ciò avviene in seguito a qualsiasi tipo di incidente nell'appartamento affittato. Perchè gli studenti non affittano mai attici o ville con piscina, ma tuguri degni di una baraccopoli in cui avere l'acqua calda è un vanto. Mobilio anni '70, fornelli che arrivano direttamente da Fred Flinston, elettrodomestici malfunzionanti e sanitari che esplodono ogni tre per due: sono questi i tipici elementi di una casa da fuorisede. E se non è per il guasto a uno dei suddetti, la frase viene pronunciata per altri tipi di incidenti. Chi infatti prestava attenzione quando la mamma ci spiegava come funziona il filtro dell'aspirapolvere, o quando ci ripeteva "Controlla di aver tolto i fazzoletti dalle tasche prima di mettere i jeans in lavatrice"? E poi, all'improvviso, ti ritrovi con il tuo coinquilino a decifrare le etichette sui vestiti per capire come accidenti funzioni un lavaggio in lavatrice, a passare l'aspirapolvere anche quando vorresti buttarti sul letto e dormire due giorni di fila, a sturare il lavandino scoprendo che ciò che impediva all'acqua di sgorgare è Chewbecca con tutto il Millenium Falcon, composto dai capelli di tutti gli inquilini che hanno vissuto in quell'appartamento... e in quel momento capisci che quando ti veniva detto di riordinare camera tua sotto sotto non era una cosa così tremenda.

E non parliamo poi dei coinquilini.

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Alle superiori ci si immagina un appartamento alla New Girl, abitato da tanti ragazzi esuberanti con cui fare feste, cene, chiacchierare del più e del meno, e tra cui nasceranno storie d'amore. Ma la realtà non è purtroppo così. Le persone sono strane, ognuna ha abitudini e modi di fare che ti portano a pensare "Dio mio, ma perchè non sono andato a stare da solo?".

Perchè il coinquilino è come il cartellino Imprevisti di Monopoli: finchè non peschi non sai cosa ti capita. E ti può capitare davvero di tutto: dal coinquilino festaiolo che invita gli amici a casa quando tu vorresti solo studiare in pace, al coinquilino asociale che aspetta che tu sia in camera per andare in cucina a mangiare e non dover fare conversazione, al coinquilino cactus di cui spesso ti dimentichi persino l'esistenza, al coinquilino aspiratutto che quando non ci sei saccheggia il tuo ripiano del frigorifero. E molti altri ce ne sarebbero da elencare.

E scordatevi l'idea che il coinquilino dell'altro sesso diventi l'amore della vostra vita: ogni tipo di attrazione sessuale viene brutalmente recisa nel momento in cui inizi a vederti tutte le mattine con indosso il pigiama antistupro e i calzini di spugna colorati, con le occhiaie e i capelli in disordine. Perchè il coinquilino è colui che ti mugugna addosso ogni mattina quando entra in cucina, che quando inizia la mezza stagione gira con dignità per casa con i calzini e le infradito, che quando ha tutti i vestiti nella cesta da lavare inizia ad abbinare pantaloncini a fiori e maglione di lana, e che quasi sempre russa come una locomotiva a vapore.

Ma il coinquilino è anche quello che ti consola quando un esame va male, che divide con te i due yogurt scaduti che ti sei dimenticato al fondo del frigo, che ti presta una maglietta quando tu non ne hai più, che ti fa compagnia nelle lunghe sere d'inverno quando rimpiangi di non essere andato in erasmus in Spagna, e con cui inizi mille diete e non ne concludi nemmeno una.

Perciò, caro lettore, se  stai prendendo in considerazione l'ipotesi di cambiare città per iniziare l'università, fallo: la vita da studente fuorisede è un qualcosa che non potrai ripetere nella vita, un'esperienza unica da fare all'età giusta e che ti regala emozioni che mai avresti pensato di provare nella vita, come scoprire che al supermercato c'è il cavolfiore in offerta, o ricevere il messaggio dal coinquilino: "Stasera si sboccia, ho la vodka dell'MD".

E anche se in certi momenti può apparire dura, è un'esperienza che ti prepara alla vita: perchè nessuna educazione domestica regge il confronto quando il tuo partner arriva in cucina sconsolato dicendoti "Tesoro, il frigo è vuoto, c'è una mela e del formaggio", ma tu sorridi furbamente perchè sai che riuscirai a preparare una cena con tutti i crismi che Carlo Cracco può solo che inchinarsi.

Perchè se c'è una cosa che accomuna tutti i fuorisede è la capacità di trasformare quindici euro in dodici pasti senza mai perdere la fantasia.

Provare per credere.

Michela Bianco

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Immagini: 

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Per tutta la vita

Per tutta la vita
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Quel dirupo è sempre stato il mio peggior incubo.

Da bambina mi piaceva andarci, l'acqua blu rifletteva i raggi del sole e mi sentivo come se su quella sporgenza immensamente ripida potessi essere padrona della mia vita, senza dover dare ascolto a tutti coloro che mi circondavano.

Avevo sei anni quando mia madre si buttò da quel dirupo, con mio fratello in grembo e me presente.

Da quel momento, quando mi avvicinavo al dirupo, non mi sentivo più padrona della mia vita, ma di un enorme segreto che non potevo svelare a nessuno, per via delle ultime volontà di mia madre.

Mio padre, la causa di quel brutale suicidio, se n'era andato di casa il giorno stesso della morte della mamma, causando la fine della nostra tranquilla vita familiare.

I miei fratelli avevano provato a riagganciare i rapporti, ma io non lo volevo sentire nemmeno nominare.

A loro raccontai che fosse annegata in mare, molto al largo, scusa che non aveva portato la polizia alla ricerca del cadavere.

Non avevo raccontato niente a nessuno di mio fratello, che non sarebbe mai nato e non avrebbe avuto la gioia di condividere con noi la sua vita; solo io e mia madre sapevamo della sua esistenza, o ameno così credevo.

Mentire e tacere è stata la parte più dura di tutta la storia, anche più del fatto che mio padre non si fosse presentato al funerale.

Dopo questo ci scrisse molte volte: io aprii una sola volta una sua lettera e mi bastò, perché mi disse che ero troppo piccola per capire il motivo della loro separazione, ma non mi disse mai quando avrei potuto capirla.

In quel momento lo odiai ancora di più, perché mi lasciò intendere che sapesse cosa fosse successo veramente a mia madre e chi, effettivamente, cadde dal dirupo.

Sono passati quindici anni dal giorno in cui mia madre mise fine alla sua vita e a quella di suo figlio e la storia vera non l'ho mai raccontata a nessuno.

Per tutta la mia vita non ho fatto altro che odiare mio padre, a pensare a lui come un insensibile e un egoista.

Quanto mi sbagliavo!

Mio padre è morto di infarto un anno fa, senza che nessuno avesse potuto dirgli addio.

La sua tomba è stata affiancata a quella di mia mamma, e sono sicura che lei ne sarebbe contenta, dato che so che non ha mai smesso di amarlo.

 

Qualche giorno fa, in soffitta, ho trovato le lettere di mio padre, da me ignorate, ancora con il sigillo.

Sono in tutto centoventi, che raccontano i suoi ultimi quindici anni.

Leggendole ho capito quel che intendeva mio padre riguardo alla motivazione della separazione: non era importante quanti anni avessi, ma se fossi matura abbastanza.

I miei fratelli questo lo avevano capito, io no.

Io ero sempre stata convinta che la colpa fosse tutta di mio padre, vedendo solo i suoi errori, che in parte esistevano.

Non avevo capito che mia madre fosse affetta da una malattia gravissima, senza cura, e che il suicidio fosse il pretesto per sottrarsi alle cure in ospedale.

Mio padre, il giorno in cui se ne andò, aveva cercato di convincerla a farsi curare, ma invano.

Se la mamma si era tolta la vita, di sicuro era in uno stato di shock, svanito appena aveva raggiunto il masso contro cui era morta, mentre per mio padre era durato per tutta la sua vita, che lo aveva costretto ad andarsene.

Aveva cercato di ristabilire i rapporti con noi, riuscendoci, in parte, perché con me non c'era stato modo.

Sì, perché io, in cuor mio, sapevo della malattia della mamma, ma non lo avevo mai voluto ammettere, al contrario dei miei fratelli.

Me ne ero andata di casa a sedici anni, tagliando i ponti con i miei familiari, e mi ritrovavo a ventun'anni senza amici, senza amore e, soprattutto, senza felicità.

Adesso capisco la decisione di mia madre di buttarsi dal dirupo, e sono sicura che se lei ha avuto il coraggio di farlo, lo posso fare anch'io.

Sono giorni che ci penso e alla fine ho deciso: voglio finirla di vivere così, mi faccio male da sola.

Sto pensando a tutto questo mentre mi avvicino al dirupo.

È un attimo, non mi devo preoccupare.

Spero solo che migliori le cose.

Respiro profondamente, chiudo gli occhi e vado.

L'ultimo pensiero è rivolto a te.

Ti voglio bene papà.

 

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Michela Bianco

Le capitali nella letteratura di ieri e di oggi

Le capitali

Molta letteratura, sia passata che contemporanea, è ambientata in una capitale. Perchè la capitale permette un maggiore sviluppo della trama rispetto ad una comune cittadina, e perchè la capitale è in grado di fornire spunti narrativi unici e particolari.

Non tutti i romanzi seguono questa linea di pensiero, ma è possibile tracciare un percorso comune sulla scia di alcuni dei romanzi più famosi.

Generalmente il raggiungimento della capitale viene visto come una maturazione del protagonista: dopo una serie di vicissitudini, egli è cresciuto spiritualmente ed emotivamente ed è ora in grado di affrontare un nuovo cammino in una nuova città, più ricca di ostacoli ma anche di attrazioni.

Altre volte invece il protagonista arriva nella grande città a seguito di un trasferimento, e deve subito adattarsi a questa nuova realtà, così dinamica rispetto a quella che conosceva.

E quali sono le grandi città? La maggior parte delle volte sono le capitali europee, come Londra, Parigi, Madrid... altre volte invece sono quelle statunitensi, come New York e San Francisco.

Vediamo nel dettaglio come queste città vengono descritte durante i periodi storici della letteratura.

Londra 

ieri

Londra è la capitale per eccellenza di tutta l'isola, è la grande metropoli a cui tutti gli abitanti della campagna aspirano, è il simbolo della modernità e della borghesia. Londra permette l'incontro tra culture differenti, consente scambi di idee e di storie e permette di conoscere nuove realtà.

Ma è anche luogo di perdizione: Londra è il luogo in cui tutti i princìpi morali vengono meno, dove l'animo umano rischia di essere corrotto.

Durante la rivoluzione industriale il cielo di Londra si fa più scuro, incupito dai fumi delle fabbriche e delle industrie. Viene descritto lo sfruttamento e la fame della povera gente, in particolar modo dei bambini; la vita degli operai viene contrapposta a quella della borghesia, che invece si circonda di agi e di lusso.

Possiamo prendere tre romanzi a rappresentanza della Londra di ieri: Oliver Twist (C. Dickens), Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr Hyde (R.L.Stevenson), Il ritratto di Dorian Gray (O.Wilde).

Oliver Twist descrive alla perfezione la Londra dei bassifondi durante la Rivoluzione Industriale: miseria, fame, ignoranza e povertà. Elementi immancabili nei romanzi di Dickens.

Una città che, se a prima vista ci appare come un luogo perfetto, ad un secondo sguardo ci rivela tutti i risvolti negativi di una società borghese fondata sul consumismo.

Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr Hyde è meno importante dal punto di vista della descrizione della città, ma è fondamentale per l'analisi dell'animo umano nella società moderna. Proprio come la città, il protagonista ha due anime: una buona, diurna, e una cattiva, notturna. E solo in una grande città come Londra è possibile il pieno sviluppo di tale dualismo.

Per ultimo vediamo Il ritratto di Dorian Gray. L'animo del protagonista viene intaccato dalla mondanità e dai piaceri che la città offre: droghe, prostitute, criminalità... Le due facce di Londra vengono qui descritti in modo parallelo: la Londra borghese, di ricevimenti e lusso, e la Londra criminale, di morte e violenza.

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Londra

oggi

Oggi, la città in letteratura appartiene prevalentemente a un genere diverso: la letteratura rosa. Londra non è più luogo di modernità, ribellione e sviluppo, ma è la capitale del business, della moda e dei party. Una vita sfrenata all'insegna del divertimento e dell'incontro con ricchi businessman in una città dove pare che l'unico lavoro possibile sia in una grande azienda.

Prendiamo due autrici appartenenti alla letteratura rosa e che ambientano i loro romanzi a Londra: Sophie Kinsella e Helen Fielding.

Come dimenticare I love shopping per la prima e Il diario di Bridget Jones per la seconda? Londra non è più un'entità autonoma, ma uno strumento per permettere alle protagoniste di raggiungere i loro scopi che in una piccola città non sarebbero stati realizzabili.

Londra diventa quella che i turisti si aspettano: Piccadilly Circus, il Tamigi, il caffè takeaway, i pary aziendali e gli uomini d'affari in giacca e cravatta. Nulla che una normale guida turistica non sarebbe in grado di offrirci.

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Parigi

ieri

Molto simile a Londra per quanto riguarda bassifondi, miseria, netta discrepanza tra povertà e ricchezza, ma con un profilo storico totalmente diverso. Se a Londra troviamo la rapida crescita della borghesia, a Parigi vediamo che i capisaldi della monarchia sono ancora ben solidi.

Se pensiamo a Parigi non possiamo fare a meno di pensare alla reggia, al lusso regale, alle pettinature eccentriche di Maria Antonietta, e alla lotta per l'abolizione dell'Ancient Regime.

In un secondo momento, agli albori del 1800, Parigi diventa il simbolo dell'arte e della musica; Monmartre diventa l'emblema di una città eclettica e unica, con i suoi teatri e i suoi artisti di strada, i cosiddetti bohemiens.

In letteratura possiamo nuovamente prendere tre classici: I tre moschettieri (A. Dumas), I miserabili (V. Hugo), Spleen (C. Baudelaire).

I tre moschettieri è ambientato nella Parigi del 1600, in cui lo sfarzo reale raggiunge l'apice e la corruzione politica ed ecclesiastica sono alla base della trama. Una Parigi ancora legata agli antichi valori e tradizioni, in cui l'onore e la fedeltà al re valgono più di ogni altra cosa. Una lealtà che ha più valore della vita umana e che viene ripagata. Dumas ha fiducia nella società di allora, e lo dimostra ribaltando la situazione iniziale: Richelieu viene smascherato e i moschettieri, che si sono dimostrati leali verso il re e verso la Francia, vengono riconosciuti come i protettori della nazione. Il libro è intriso di un orgoglio nazionale che, anche quando tutto sembra vacillare, non viene mai scalfito: Dumas ci rivela come nella Parigi del 1700 lo spirito nazionale sia alla base di tutto, e serva come spinta ad andare avanti nei momenti più bui.

I miserabili appartiene invece al diciannovesimo secolo, diversi anni dopo la rivoluzione francese. La Parigi qui descritta non è più immersa nel lusso di corte ma è la Parigi delle strade e della criminalità, la Parigi della lotta dei più deboli per una condizione di vita migliore. Una città descritta dal basso, con la sporcizia per le strade, l'insalubrità delle case e, soprattutto, le fogne sotterranee. La città è vista nella sua totalità, dalle fondamenta fino ai tetti, senza tralasciare nulla.

Come si può notare anche in Notre Dame de Paris, la città non è più motivo di orgoglio e di fiducia nella società francese, ma anzi è la stessa società a ostacolare gli uomini e la loro salvezza. E questa sfiducia la si può notare nel finale: ne I tre moschettieri tutto si conclude per il meglio, chi è stato leale viene ripagato e la giustizia trionfa, mentre ne I miserabili Jean Valjean deve sacrificare la sua vita.

Spleen non è un romanzo ma una poesia, che in pochi versi riesce a far percepire il malessere fisico e morale dell'uomo nella Parigi di metà 1800. Baudelaire era un bohemien, che visse appieno i bassifondi della Parigi pre-industriale e tutti i disagi legati alla vita malsana e alle nuove droghe, prima tra tutte l'assenzio. L'uomo sta cambiando, non riesce ad adattarsi al mondo a cui appartiene e vive questa angoscia interiore, una depressione che lo conduce all'isolamento e all'apatia. La città diventa testimone silenziosa del deterioramento dell'animo umano, assumendone i toni cupi

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Parigi

oggi

Oggi Parigi tende ad assumere tutt'altro significato. Parigi è diventata nell'immaginario collettivo la città dell'amore, della cucina e della moda. Nei romanzi di oggi vediamo generalmente una protagonista con un sogno nel cassetto fino a quel momento irrealizzabile, ma che diventa attuabile nel momento in cui mette piede a Parigi: la pasticceria viene aperta, l'agenzia di moda messa in piedi, e un dolce e bravo ragazzo fa da contorno.

Prendiamo un romanzo per tipo: Paris in love (E. James), Una deliziosa pasticceria a Parigi (L.Madeleine), Io prima di te (J. Moyes).

Come è facilmente intuibile, il primo narra di una storia d'amore nella città de l'amour, mentre nel secondo a questo si unisce la passione per la cucina.

Per quanto riguarda Io prima di te, Parigi non è la città in cui si svolge la narrazione, ma la meta finale della protagonista, che può finalmente realizzare i suoi sogni frequentando la scuola di moda.

Parigi viene in questo modo ricondotta, nella visione moderna, a una banale generalizzazione facilmente individuabile in tutte le cartoline vintage della città.  E anche se stiamo parlando di libri, la nostra immaginazione non può non correre alla Vie en rose, ai bistrot e alla Tour Eiffel.

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New York

ieri

New York è stata l'approdo al Nuovo Mondo per molti secoli. E' la città delle occasioni e delle possibilità, è dove si può ricominciare da capo sperando in un futuro migliore.

Divisa in quartieri peculiari e caratteristici, la città di New York si sviluppa in parallelo al progresso tecnologico e industriale, divenendo una delle città più importanti per l'industria tessile, la raffineria di zucchero e la stampa.

Ma New York è anche importante per la sua multiculturalità in quanto fu per secoli approdo di immigrati, che portarono con loro tradizioni, religioni, lingue e culture.

I romanzi che possono rappresentare le sfacettature di New York sono: Il grande Gatsby (F.S. Fitzgerald), Il padrino (M. Puzo) e Il giovane Holden (J.D. Salinger).

Il grande Gatsby è il simbolo della New York degli anni '20, fatta di feste, divertimento e noncuranza per ciò che accade nel mondo. Ma oltre a questa superficie è possibile vedere la realtà intrinseca della società newyorkese e la corruzione che la avvolge. Una città che si palesava come opposta a quelle del Vecchio Mondo, ma che in realtà ne segue le orme. I cittadini newyorkesi vivono in una sorta di bolla alimentata dal progresso e dal benessere che New York offre, ignorando tutto ciò che permette al progresso e al benessere di esistere, primo tra tutti il mercato nero. Fitzgerald mostra come la New York degli anni '20 sia una sorta di Paese dei balocchi, dove ogni persona può toccare le vette del piacere estremo, ma in totale solitudine.

Il padrino, più conosciuto per la trasposizione cinematografica, è un ritratto della mafia americana, sviluppatasi da quella italiana e adattata alle nuove esigenze. Attraverso le descrizioni e i dialoghi è possibile cogliere il disagio e la corruzione che si cela dietro alle promesse non mantenute del Nuovo Mondo: nuovo paese, ma stessa gente. Vediamo la vita malsana nelle case popolari (i tenements), il contrabbando e i circoli mafiosi, e la copresenza di tradizioni e culture diverse su uno stesso territorio. Un ritratto della New York di retroscena.

Per ultimo vediamo Il giovane Holden: attraverso gli occhi del protagonista possiamo analizzare la New York di fine anni '40, in cui i luoghi sono gli stessi di adesso (vediamo infatti Central Park e Mahnattan) e la vita dei personaggi è simile a quella attuale (la scuola, il pattinaggio su ghiaccio...): descrivendo la città in modo disinteressato, Salinger ci permette di immedesimarci appieno e di viverla senza accorgercene, perchè anche se è una città che ci appare così distante da noi, il protagonista si comporta come un nomale adolescente di qualsiasi città.

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New York

Oggi

L'immagine di New York non è cambiata molto rispetto al passato: rimane una città dalle mille risorse e dalle mille possibilità, una città che offre una vita nuova e migliore. E' anche il simbolo del divertimento e della vita sfrenata, un'immagine che spesso oscura anche il lato nero della città: la criminalità, la povertà e un sistema poliziesco molto forte.

Per definire quanto detto possiamo prendere due libri ad esempio: Le mille luci di New York ( J. McInerney) e Sex and the city (K. Bushnell).

Le mille luci di New York è ambientato negli anni '80 e descrive, con uno stile particolare e innovativo, i due volti della città: quello intrigante e scoppiettante della mondanità e della modernità, e quello squallido e malfamato della criminalità e della droga. Un rovescio della medaglia che appartiene ad ogni città, ma che a New York si sente di più perchè a New York tutto è amplificato.

Grazie a questo romanzo è possibile immergersi appieno sia nell'atmosfera quasi nostalgica degli anni '80 sia in una New York che noi non conosciamo, ma che esiste tutt'oggi.

Sex and the city, così come Gossip Girl e tutta la letteratura rosa ambientata nella New York attuale, mostra l'aspetto mondano di New York, composto da moda, party e shopping, il tutto basato sulla convinzione che New York offra una possibilità a tutti.

Una Manhattan descritta attraverso grattacieli e locali alla moda, una città le cui opportunità sorgono in ogni dove, e quattro protagoniste unite dall'amore per lo shopping e la vita mondana: il romanzo offre descrizioni che fanno apparire New York completamente diversa dalla città descritta nella letteratura precedente, e che mostra un lato di New York nuovo e intrigante.

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I libri famosi che nessuno ha mai letto

L'idea di questo articolo nasce in seguito alla visione al cinema del trailer di "La corazzata Potiomkin", il cui slogan era "Il film più
famoso che nessuno ha mai visto".
Pertanto in questo articolo analizzeremo i libri più famosi ma che in pochi hanno letto.

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1) Il nome della rosa (U. Eco)

Mattone della letteratura moderna, è l'incubo di tutti gli studenti, perchè in cinque anni di superiori prima o poi arriva la fatidica frase "Per le vacanze leggere Il nome della rosa".

La maggior parte abbandona la lettura dopo il primo capitolo e decide di affidarsi al film. Solo i più coraggiosi riescono ad arrivare alla fine del romanzo e leggere con soddisfazione la famosa frase latina Stat rosa pristine nomine. Nomina nuda tenemus.

Eppure la storia è davvero avvincente, con una serie di colpi di scena e una trama che, se scritta da autori thriller come Dan Brown, terrebbe incollato il naso alle pagine. Ma l'autore è Umberto Eco e lo stile è un altro, quello di un colto letterato.

Spesso si sente dire da chi ha già letto il romanzo "Supera le prime cento pagine e poi è tutto in discesa". Sfatiamo questo mito: il romanzo mantiene il suo stile altisonante e ricco di termini aulici per tutta la sua durata, l'unico cambiamento che riscontriamo dopo le prime pagine puramente descrittive è l'inizio della "parte thriller", che quindi incuriosisce e invoglia a proseguire.

È un libro impegnativo, unico nel suo genere, che va letto non solo per la trama ma proprio per la capacità di Eco di ricostruire l'atmosfera del 1200, sia dal punto di vista storico che da quello culturale. È un romanzo che richiede un grande sforzo da parte del lettore, ma che in cambio regala un arricchimento culturale e lessicale notevole.

 

2) La coscienza di Zeno (I. Svevo)

Vale lo stesso principio de Il nome della rosa: un classico contemporaneo assegnato per le letture estive. Che sia l'obbligo scolastico a farci indietreggiare di fronte alla lettura?

La storia è conosciuta, il personaggio di Zeno anche, e più di tutto è famosa la "profezia" finale sulla modernità. Quindi che senso ha leggerlo se ormai sappiamo tutto?

Innanzitutto per le descrizioni introspettive di Zeno, che ci permettono di avvicinarci al protagonista e di provare una sorta di empatia per lui. Infatti, se nei secoli precedenti i protagonisti dei romanzi erano eroi forti e valorosi, qui troviamo un uomo normale, con una vita normale e dei pensieri normali.

In secondo luogo, i capitoli in cui viene diviso il romanzo presentano le parti di vita di Zeno, e ogni lettore non può fare a meno di ritrovare uno scorcio della propria storia in quella sezione (il desiderio di smettere di fumare, il tentativo fallito di corteggiamento...).

Infine, anche se il romanzo a prima vista può sembrarci monotono e noioso, leggendolo con più attenzione possiamo notare anche il lato comico, che ci strappa anche qualche risata nel corso della storia.

Vi ho convinti abbastanza?

 

3) Guerra e pace (L. Tolstoj)

Questa parte è dedicata gli appassionati. Non è possibile tergiversare dicendo che nonostante la mole il romanzo è avvincente, scorrevole e piacevole. È un romanzo ostico, e bisogna essere interessati sia di letteratura russa che del periodo storico in cui si svolge la storia per poter terminare la lettura.

Guerra e pace è un romanzo storico, e in quanto tale si sofferma sulla narrazione storica, sulla descrizione di battaglie, di vicende politiche, e solo tra tutti questi avvenimenti possiamo trovare i personaggi e seguire le loro vite.

Perciò, se non siete degli appassionati di letteratura russa, o avete iniziato da poco ad approcciarvi a questo mondo, sono consigliabili delle letture più leggere (Anna Karenina, sempre di Tolstoj, Oblomov, di Goncarov, la produzione di Gogol, tanto per citarne alcuni), in modo da non scoraggiarvi e perdere subito l'interesse per questa parte di letteratura.

Se invece siete già amanti della letteratura russa, Guerra e pace non può certamente mancare nel vostro bagaglio culturale.

 

4) La Bibbia

Assurdo inserire la Bibbia in un articolo del genere. Eppure la nostra tradizione e la nostra cultura si basano sugli eventi del Nuovo e dell'Antico Testamento, quindi perchè limitarsi a conoscere superficialmente la tradizione cristiana quando si può approfondire la nostra cultura in modo diretto? Ovviamente non leggendola come se fosse un romanzo, ma consultandola di tanto in tanto quando si hanno dei dubbi, delle curiosità, oppure si è sentito parlare di un determinato passo e si vuole approfondire. È una lettura che non deve essere fatta per forza dal punto di vista religioso, perchè è molto interessante a prescindere che siate credenti o no.

Per esempio, quasi tutti da piccoli abbiamo visto Il principe d'Egitto, ma quanti di noi sanno cosa succede dopo che il mare si chiude dietro a Mosè? Quanti sanno perchè Sodoma e Gomorra sono diventati termini di uso comune? Cosa succede dopo che Gesù è risorto? Cosa significa l'espressione "Come San Paolo sulla via di Damasco"?

 

5) Romeo e Giulietta (W. Shakespeare)

Una delle più grandi tragedie d'amore, viene studiata in qualsiasi corso di letteratura inglese, ha reso famosa la città di Verona e ha creato un modello di storia d'amore per la letteratura successiva. Ecco perchè è importante leggerlo, perchè questa coppia di star cross'd lovers fa ormai parte della nostra tradizione. Romeo è diventato sinonimo di innamorato perso, ed essere una coppia come Romeo e Giulietta significa essere completamente innamorati, quindi è fondamentale conoscere da dove derivi tutto ciò.

La lettura dell'opera non vi sottrarrà più di qualche ora: è un testo scorrevole, ricco di avvenimenti, di dialoghi artificiosi ma che nel corso della narrazione risultano perfettamente appropriati, e se si ha l'animo romantico non si può fare a meno di innamorarsene.

Molti avranno probabilmente visto la versione cinematografica di Zeffirelli, un'ottima versione bisogna ammettere. Da menzionare è anche la versione di Luhrmann Romeo + Giulietta: su questa trasposizione è interessante spendere qualche parola. Nonostante sia ambientata ai giorni nostri Luhrmann ha mantenuto quasi sempre fedele la trama e il testo, e anzi ha aggiunto alcune scene che Zeffirelli aveva tralasciato. Nonostante ci siano le auto al posto dei cavalli, e il vestito da angelo al posto di quello da ballo, il film rende giustizia all'opera sia per drammaticità che per contenuti.

Ci sono altre trasposizioni, ma queste sono le più complete. Anche se nessuna delle due menziona la morte di Paride... motivo in più per leggerlo, non trovate?

 

6) Ulisse (J. Joyce)

Non sono molte le persone che hanno cominciato la lettura dell'Ulisse, e ancora meno sono quelle che sono riuscite a raggiungerne la fine. Eppure tutti conoscono la trama, lo stile, le ambientazioni, i personaggi: se almeno una volta nella vita si è seguito un corso di letteratura inglese (superiori, università, curiosità personale) l'Ulisse di Joyce è stato oggetto di studi.

Joyce apre la strada ad una nuova corrente letteraria, che verrà ripresa e ridimensionata da Virginia Woolf, grazie allo stream of consciousness, ovvero il flusso di coscienza. Ed è proprio quest'ultimo che rende ostica la lettura per intero del romanzo.

La trama di per sè è inconsistente: si segue una giornata di vita del protagonista, Leopold Bloom, per le vie di Dublino. Ma durante questa giornata del tutto tranquilla e normale, attraverso lo stream of consciousness, il lettore entra a contatto con la realtà attorno a Leopold e allo stesso tempo con i suoi pensieri, da quello più stupido a quello più riflessivo.

Il titolo del romanzo lascia intendere che la giornata di Leopold è il corrispondente moderno del viaggio di Ulisse per tornare ad Itaca, e vi sono corrispondenze nei singoli personaggi. Tuttavia, mentre nel poema classico alla fine Ulisse riabbraccia la moglie fedele che attendeva il suo ritorno da anni, alla fine del romanzo di Joyce troviamo Leopold che torna dalla moglie, la quale ha trascorso l'intera giornata con l'amante. Questi due finali opposti rappresentano la differenza tra i valori e le virtù della società antica, e il naufragio di quella contemporanea: Joyce non ha fiducia nell'uomo moderno.

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Michela Bianco

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L'Italiano sta morendo

L'italiano ha raggiunto lo status di lingua nazionale portando ad una compattazione dell'identità d'Italia. Grazie alla riduzione progressiva dell'analfabetizzazione la lingua italiana è diventata accessibile alla maggior parte della popolazione, e la componente dialettale è diventata una parentesi linguistica tipica delle aree rurali e delle vecchie generazioni. Con queste premesse pare che chiunque sia in grado di padroneggiare la lingua italiana con abilità: tuttavia non è così.

Due sono gli elementi che vanno a minare le basi della lingua: la scorrettezza grammaticale e l'assorbimento di forestierismi e prestiti di lusso che tendono a sostituire il lessico originario.

l'italiano sta morendo

La Grammatica

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La grammatica italiana sembra essere diventata un accessorio superfluo della lingua, qualcosa che può essere trascurato a favore del contenuto. Il congiuntivo sta scomparendo (voglio che vai anzichè voglio che tu vada), l'utilizzo degli apostrofi (un'amica e un amico), dell'acca (anno e hanno) e della punteggiatura (il punto e virgola è quasi del tutto sparito) è sempre più scorretto, e così anche tutte quelle forme ortografiche su cui gran parte della gramamtica italiana studiata alle elementari si basa (gli diedi o li diedi?, ciliegie o ciliege?, nazione o nazzione?).

Gran parte della colpa è imputabile ai  social network e alle chat di messaggistica istantanea: la rapidità di invio del messaggio fa sì che la grammatica venga messa da parte perchè il messaggio deve arrivare il più velocemente possibile, e deve inoltre essere la trascrizione della lingua parlata, non un testo scritto. Lo scambio di messaggi avviene prevalentemente tra coetanei e amici, per cui non si presta minimamente attenzione alla forma perchè non c'è critica nè alcun tipo di giudizio da parte della persona a cui si invia il messaggio.

Nel momento in cui invece il messaggio di testo o una email deve essere invitata a una persona con cui non si ha un legame stretto o un rapporto confidenziale (un professore o un datore di lavoro) si tende a comportarsi in due modi differenti: si ignora che ciò che si sta inviando sia un testo scritto, e il risultato prodotto è una riproduzione del parlato; oppure si tende all'ipercorrettismo. Solo una minima parte delle email viene scritta in maniera corretta.

Perciò, anche se uno scorretto utilizzo della grammatica italiana dovrebbe essere individuato solamente nelle generazioni che non hanno subìto un completo processo di alfabetizzazione, esso è tuttavia riscontrabile anche nelle nuove generazioni, nei cosiddetti "nativi digitali".

Una parte di responsabilità va anche riconosciuta alle scuole dell'obbligo: si tende sempre meno a evidenziare gli errori grammaticali, a penalizzarli e a soffermarsi a lungo su questi argomenti. L'insegnamento non è più la forma di rigida disciplina di un tempo, e spesso gli errori grammaticali vengono trascinati fino all'università, dove un corretto utilizzo della grammatica dovrebbe essere il requisito base, ma spesso  non è così.

 

Il lessico

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Per quanto riguarda il lessico, il discorso va oltre il semplice accesso ai social network: ormai gran parte di ciò che ascoltiamo o guardiamo è in inglese, e l'utilizzo di slang o espressioni non italiane è all'ordine del giorno. Sembra che più si utilizzano forme straniere nel linguaggio corrente più si appare acculturati e di mente aperta agli occhi degli interlocutori. Quante volte sentiamo espressioni o vocaboli come creepy, lol, easy durante un normale discorso? La motivazione principalmente è che nella nostra lingua non esiste una diretta corrispondenza e siccome, come già detto in precedenza, oggigiorno è fondamentale la rapidità della comunicazione, gli slang inglesi permettono di esprimere concetti che in italiano sarebbero invece affidati a parafrasi che appesantirebbero il discorso.

Il problema insorge quando si inizia ad abusare di questi termini, arrivando al punto di sostituire termini italiani con il corrispondente forestierismo in modo non necessario: vediamo download invece di scaricare, taxi driver anzichè tassista, meeting al posto di riunione, e così via. La lingua italiana, così ricca di vocaboli e sinonimi, viene intaccata da prestiti di lusso.

La diretta conseguenza di tutto ciò è che le persone non si sforzano più di costruire frasi in maniera creativa e con lessico ricercato, ma si limitano ad acquisire espressioni provenienti dall'inglese senza porsi il problema di cosa quel vocabolo realmente significhi.

Questo fatto, se si unisce alle espressioni italiane sempre più comuni sui social (sto male, muoio...), portano alla creazione della cosiddetta lingua di plastica, che risulta artificiale e fastidiosa, specialmente se si pensa che la lingua italiana che parliamo oggi deriva dalla lingua che utilizzavano quotidianamente letterati ai livelli di Leopardi o Montale.

In conclusione è bene osservare come il problema maggiore stia nel fatto che non c'è più una netta distinzione tra lingua scritta e parlata, ma si è creata una miscela che risulta imperfetta sia dal punto di vista orale che da quello scritto. E' quindi importante, all'inizio dell'apprendimento della lingua, effettuare una distinzione tra le due sfere linguistiche, e capire quanto la propria lingua sia in grado di dare prima di affidarci ad altre lingue senza poi essere in grado di padroneggiare nessuna delle due.

Erba rossa

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Il piccolo corpo si dimenava nella polvere. A ogni sforzo, dalla ferita sgorgava del sangue denso. Tutt'intorno l'erba si era intrisa di rosso.
Le piccole mani si contorcevano, affondavano sempre di più nel terreno in un ultimo, disperato tentativo di alzarsi.


Mancavano solo cinque giorni alla tanto desiderata Liberazione, ma Mattia non lo sapeva. Lui era cresciuto con la guerra. Ogni volta che chiudeva gli occhi, risentiva lo stridio delle bombe, lo scoppio e le grida. Non riusciva a ricordarsi un mondo in pace. Delle squadre fasciste avevano preso di mira il borgo dove viveva Mattia, considerato un covo di ribelli. Non vi era giorno senza una qualche incursione o disordine. Si viveva in una situazione di costante paura.
Mattia viveva in una piccola casa con suo papà, sua mamma e le sorelline. Nelle belle giornate gli piaceva andare coi suoi amici a portare le bestie al pascolo.
Papà Arturo era un carabiniere rispettato in paese, ma era riuscito a non partire per il fronte russo. Grazie alla nascita della terza figlia, ottenne il congedo. Arturo amava tutti i suoi figli indistintamente, ma con quella creaturina in fasce si creò un legame speciale. Quella piccola, appena affacciatasi alla vita, aveva inconsciamente salvato la vita a suo padre. Infatti, nessuno dei commilitoni ritornò dal fronte.
Delle volte Arturo incontrava quelle vedove e quasi istintivamente, abbassava lo sguardo e veniva pervaso da un senso di colpa e vergogna. Quella sensazione lo accompagnava fino all'uscio di casa. Varcata la soglia però, tutto spariva all'unisolo.


Il sole non era ancora sorto. Mattia non era riuscito a chiudere occhio tutta la notte per via dei soliti incubi.
Si alzò per andare a bere un sorso d'acqua e nella penombra della cucina intravide una sagoma scura, alta e robusta. Era suo padre. Alla luce fioca della luna che filtrava dalla finestra, notò che era vestito come per andare al pascolo. Mattia si insospettì subito. Di solito era lui l'addetto alle bestie.
" Papà, dove stai andando?"
Arturo si girò. Notò il figlio. Sperava di non incontrare nessuno per dare spiegazioni.Sua moglie sapeva e questo bastava.
" Figliolo.... vado io a portare le bestie al pascolo oggi.... vado lassù in alto... A quest'ora l'erba è bella fresca. Tu torna a letto".
Mattia non ebbe nemmeno il tempo di ribattere, che il padre era già uscito in strada.
Notò qualcosa di strano nel tono della sua voce.
Si strofinò gli occhi con fare assonnato e rientrò nel letto. Arturo sudava freddo in quelle ore prima dell'alba. Le tenebre regnavano ancora.
Stava rischiando veramente tanto ma sapeva troppe cose. Doveva salire ed avvisare i ragazzi. Sapeva la posizione esatta del loro accampamento, non ci avrebbe messo molto a raggiungerli. Forse poteva ancora salvarli.


Alle sei, quando l'alba iniziava a schiarire il cielo, un boato riecheggiò nel silenzio mattutino. Ne seguirono altri, in regolare successione.
Mattia corse in cucina e trovò la mamma e le sorelle ancora in vesti da notte. Le trascinò in cantina senza dire una parola. La mamma stringeva la piccola in fasce contro il petto. Non riuscivano a capire come mai non si erano sentite le sirene. Erano tutti convinti che si trattasse di un bombardamento aereo. Ma nel cielo non si sentiva il ronzio classico dei motori ed i colpi erano troppo vicini.


Erano i cannoni dei militari della San Marco. Cannoneggiarono quel borgo per quasi due ore prima di cessare il fuoco. Non udendo più gli spari, molti uscirono dalle proprie case o rifugi. I rumori degli stivali sul selciato non presagivano nulla di buono. Si riversarono nelle vie del borgo militari armati con mitra e pistole. Sfondavano le porte di casa in casa, cercando qualsiasi indizio della presenza dei partigiani. Non risparmiarono nessuno. Ogni tanto riecheggiava una scarica di mitraglia.


Mattia aspettò con impazienza il ritorno del padre ma, non vedendolo rientrare, decise di andarlo a cercare al pascolo. Uscire in quel momento, attraversare il paese ed entrare nel bosco era molto pericoloso. C'erano troppi militari in giro con le armi cariche, pronte a sparare. Ma non poteva starsene nascosto lì sotto, con suo padre chissà dove e chissà in che stato. E se lo scambiavano per un ribelle e lo uccidevano?
Doveva fare qualcosa. E in fretta anche. Raccontando una scusa alla madre, uscì dalla cantina. Intorno a lui le strade erano coperte di calcinacci e l'aria era appesantita dalla polvere. Di tanto in tanto si sentivano urla e qualche sparo. Fece un profondo respiro e iniziò a correre lungo la via che portava al limitare del bosco.
Mattia era un ragazzino piccolo e veloce e per questo i ragazzi più grandi lo prendevano spesso in giro. Ma in quella circostanza, la sua particolarità gli diede la possibilità di passare inosservato e raggiungere così il limitare del bosco.
Si inerpicò poi sulla collina. Lungo il sentiero incotrò altri ragazzi del suo gruppo. C'era chi andava a cercare il fratello maggiore o il padre, chi a controllare le bestie lasciate a pascolare. Con un cenno del capo si scambiarono un saluto, nessuno disse una parola. Ogni tanto il silenzio era interrotto da una raffica di mitra. Alle volte lontana, altre vicina. Troppo vicina.
Arrivato abbastanza in alto, Mattia inizià a chiamare il padre con il fischio segreto che gli aveva insegnato Arturo l'inverno precedente. Continuò finchè la bocca non gli si seccò completamente, ma non ricevette nessuna risposta.
In preda al panico, senza preccuparsi di attirare l'attenzione, iniziò a chiamarlo con tutto il fiato che aveva in corpo. Ogni tanto tendeva l'orecchio in attesa di una risposta, ma intorno a lui si sentivano solo i rumori della natura.
All' improvviso, un rumore alle spalle gli fece gelare il sangue. Da anni ormai aveva imparato a ricoscere troppo bene quando a una mitraglietta veniva tolta la sicura.
Mattia si voltò lentamente. Si trovò faccia a faccia con un militare della San Marco. Il sole si rifletteva sui suoi stivali lucidi, le gambe larghe ben piantate a terra. Alle spalle del soldato, una figura curva uscì dalla penombra del bosco. Era un vecchio pastore che Mattia aveva già visto in paese nelle domeniche di fiera.
Con un ghigno beffardo, il soldato puntò l'arma verso il petto del bambino. Mattia rimase come pietrificato. Gocce di sudore gli rigavano l'incavo della schiena.
Il vecchio si fece coraggio ed avanzò al fianco del militare. " Ma non vede che è solo un bambino?" Senza abbassare l'arma, l'uomo sorrise alla domanda di quel vecchio impiccione.
"Certo oggi... ma domani sarà un ribelle!".


Erano circa le dieci del mattino e una raffica di mitra risuonò fino in paese. Mattia cadde a terra. Era stato tutto talmente veloce, che non si rendeva ancora conto di quel che era successo.
Il suo sguardo rimase fisso su quello del fascista. Il vecchio si avvicinò al corpo del bambino, ma con un calcio il militare lo allontanò. Si incamminarono entrambi lungo il sentiero, lasciando Mattia a terra. Per un breve lasso di tempo la vista gli si annebbiò, perse quasi conoscenza.
Era rimasto solo, disteso su un manto d'erba che ora dopo ora si impregnava sempre di più del suo sangue. Senza una motivazione apparente, gli avevano sparato. Era solo un bambino di dieci anni, disarmato. Voleva solo andare a cercare suo padre. Perchè quell'uomo aveva premuto il grilletto? Perchè proprio a lui? Perchè non a un altro? Se fosse rimasto a letto quella mattina, come il papà gli aveva detto, non sarebbe successo niente. Se solo avesse ascoltato quello che gli avevano detto.
Nella sua semi lucidità, si portò una mano al ventre e la sollevò davanti al viso. Un misto di sangue e terra gli ricopriva tutto il corpo fino al polso. Il dolore era talmente forte da stordirlo. Le orecchie gli ronzavano. Ma Mattia non voleva morire così.
Con la tenacia di chi ha ancora tutta la vita davanti, iniziò a urlare con tutto il fiato che aveva in corpo. Sperava che il suo lamento, il suo urlo disperato giungesse alle orecchie di qualcuno. Un partigiano, un pastore, suo papà, o anche un fascista, non gli importava. Quell'agonia doveva finire. Ma tutti i suoi sforzi risultarono vani. Rimasto quasi senza voce, con la gola completamente secca e la fronte matita di sudore, si lasciò andare. Vide davanti a sè tutti i momenti belli che la sua breve vita gli aveva offerto.

 

Il sole era ormai al centro del cielo ed una leggera brezza iniziò a soffiare dal mare. Mattia respirò a fondo quell'odore di bosco misto a salsedine. Era proprio bella la sua terra.
Era pronto al suo destino, quando l'istinto di sopravvivenza si fece strada in lui.
Doveva cercare di tirarsi su. Non poteva morire lì. Voleva vivere. Cercò di mettersi a sedere usando tutta la forza che aveva in corpo. Ma a ogni sforzo,dalla ferita usciva sempre più sangue.
Mentre le forze della vita lasciavano il suo corpo, nei suoi ultimi, disperati sforzi di rimanere aggrappato alla vita, Mattia affondò le mani nel terreno e iniziò a raspare e spingere. Le sue dita affondavano sempre di più nella terra ormai umida. Si aprirono profonde ferite ed altro sangue andò a macchiare l'erba.
Le braccia si muovevano sempre con meno vigore e il dolore venne sostituito da uno stato di semi-incoscienza. Poi, tutto cessò. La serenità pervase quel piccolo giovane corpo. Mattia chiuse gli occhi. Il suo viso si rigò di lacrime salate.

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Erba rossa

Nel pomeriggio, il parroco del paese si incamminò per lo stesso sentiero, alla ricerca di feriti e moribondi. Aveva sentito vari spari provenire da quella zona durante le ore del rastrellamento.
Alla vista del corpo di Mattia, l'uomo di chiesa sbiancò e dovette cercare sostegno appoggiandosi ad un albero. Sollevò il piccolo e lo portò in paese, adagiandolo in una stanza del vecchio asilo.

 

Gli tolsero quei vestiti insanguinati e gli fu messo il vestito buono, quello della Prima Comunione. Il suo corpo fu adagiato su un letto di fiori di campo. Il suo volto, ripulito, era così sereno che a prima vista sembrava che stesse addirittura dormendo.
Ma bastava portare lo sguardo sulle mani, per capire la crudele verità. 

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Nella sua agonia durata sei ore, Mattia, nel suo disperato tentativo di rimanere aggrappato alla vita, le unghie e i polpastrelli si erano consumati.. Le sue mani erano così deformate che quasi stonavano a confronto con il volto sereno ed angelico.


In quel giorno di aprile, sul borgo vennero esplosi circa venti colpi di cannoni, ma non feceno nessuna vittima.
Solo una madre pianse la morte del suo bambino, ingenuamente andato a cercare il padre sulle montagne senza sapere di essere andato incontro al suo triste destino.

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Beatrice Citron

Libri che...

I libri che "non leggo tanto ho visto il film"

 

 

 

In questo articolo si analizzano alcuni libri decisamente famosi, ma che in pochi hanno letto per via della trasposizione cinematografica.

 

1) Harry Potter (J. Rowling)

Escludendo i potteriani D.O.C., che conoscono ogni singola battuta e scena, quante volte è capitato di sentire persone che si dichiarano fan della saga, ma che non hanno mai letto i libri?

I film non rendono assolutamente giustizia alla saga. I primi quattro film riescono comunque a seguire la trama, seppure non completa. Dal quinto film, con la regia di David Yates, comincia il declino: buchi di trama, scene inutili e inventate, non viene rispettata la storia, e via così (esempio lampante: Harry che spezza la bacchetta di sambuco alla fine dell'ottavo film).

Inoltre, nei film non sono presenti molti personaggi (come Pix), non vengono raccontate parti della storia (l'elfa Winky o i Malandrini), e soprattutto i film non sono in grado di farci immergere in quell'atmosfera e in quel mondo che solo i libri sanno creare.

Vi sono modi di dire, libri, favole, giornali, interamente del mondo magico che non ritroviamo nei film. La saga di Harry Potter non è solo una serie di libri, ma è un intero universo, in cui penetriamo pagina dopo pagina.

2) Orgoglio e pregiudizio (J. Austen)

Film bellissimo con Keira Knightley, ma mai affascinante come il libro della Austen.

Il film è fedelissimo al romanzo, ma lo stile della Austen non è qualcosa che può essere sostituito dalla cinepresa. Un linguaggio particolare, altisonante, con termini desueti che rendono i suoi romanzi dei capolavori (ricordiamo il termine "affettato" ricorrente), ma allo stesso tempo moderno e idoneo a rappresentare giovani donne che escono dagli schemi imposti dalla società: è evidente che il film non può bastare per immergersi nell'Inghilterra femminile del 1800.

3) Trainspotting (I. Welsh)

Irvine Welsh è stato in grado di trasportarci nei sobborghi di

Edimburgo insieme a quei personaggi tanto noti che hanno fatto la storia (Sick Boy, Rent Boy, Franco e Spud) ma anche a tanti altri. Durante la narrazione incontriamo personaggi di cui seguiamo la vita per qualche pagina, e poi scompaiono, e magari li ritroviamo in un altro libro di Welsh.

Per quanto riguarda lo stile, Welsh scrive in modo particolare: non è un narratore onniscente ma segue il filo conduttore di pensieri di un protagonista, e poi bruscamente di un altro, tanto che per le prime pagine è difficile capire cosa stia succedendo.

Per questo un film non basta, anche se è un capolavoro: Boyle infatti, attraverso le inquadrature, è riuscito a rendere perfettamente l'idea di cosa succede nella mente dei ragazzi quando sono sotto l'effetto di droga (ricordiamo la famosa scena in cui Rent Boy, interpretato da Ewan McGregor, vede il figlio morto dell'amico che cammina sul soffitto), tuttavia se Boyle ci fa immedesimare per un buon 90%, Welsh con le sue parole si guadagna il 100%.

4) Shining

"Per me Shining è il film". Frase nota e ripetuta dalla maggior parte degli amanti della storia. In questo caso è vero. Il problema di fondo sta nel fatto che molti hanno visto il film prima di leggere il libro, e ovviamente nella narrazione manca la figura di Jack Nicholson. La sua espressività, la sua gestualità, la sua capacità di passare da momenti di ilarità a scatti d'ira sono un qualcosa che Stephen King non ha rappresentato nel suo romanzo.

Tuttavia King non si smentisce neanche questa volta, e il suo romanzo rimane un capolavoro, anche senza Nicholson.

5) L'ultimo dei Mohicani (J.F.Cooper)

Famoso per la sua stupenda colonna sonora, L'ultimo dei Mohicani è tratto dal romanzo di Cooper, ma le due trame sono abbastanza distinte. Il film è prevalentemente incentrato sulla storia d'amore tra Nathan e Cora, mentre il libro spazia la narrazione con dettagliate descrizioni della cultura indiana, delle battaglie e del territorio.

Oltre alla storia d'amore il romanzo è interessante proprio per la parte folkloristica ed etnografica, che nel film viene presentata solo in minima parte.

Per quanto riguarda lo stile, nonostante il romanzo sia stato scritto agli inizi del 1800, la narrazione scorre abbastanza fluida, eccezion fatta per alcune descrizioni molto dettagliate e precise.

Se si è amanti del film, e appassionati di quel periodo storico, il libro non può mancare ad arricchire la vostra cultura personale.

6) Il codice Da Vinci (D. Brown)

Capolavoro di Dan Brown, la storia segue le nuove indagini di Langdon a Parigi.

Il film è diventato un fenomeno di massa, e in molti si sono limitati a quello senza approfondire oltre. Eppure, il romanzo ha una trama molto più complessa e gli spunti culturali sono come sempre numerosissimi.

Come ogni romanzo di Dan Brown che si rispetti, la narrazione viene alternata a capitoli di flashback in cui Langdon ricorda conferenze che ha tenuto in passato e il cui argomento è correlato con l'indagine corrente. Un intero capitolo è proprio dedicato al motivo per cui la Gioconda sorride, ad esempio. Nonostante i soliti strafalcioni di Brown (vi sono saggi interamente basati sull'individuazione degli errori in ambito storico, culturale e artistico) il libro è davvero intrigante per la trama e interessante per tutto ciò che è collegato alla trama; tutti i flashback, le digressioni culturali e i riferimenti storici sono quello che rende particolare il libro, anzi tutti i libri di Dan Brown.

Il film, invece, rimane un thriller molto particolare, ma nulla di più.

7) Iliade e Odissea (Omero)

Sono davvero poche le persone che hanno letto per intero i due poemi; molti si sono limitati alla lettura di qualche canto, allo studio del proemio e alla lettura della trama. Ma la categoria peggiore è quella degli individui che dichiarano "Io ho visto Troy".

Troy è un film interessante e coinvolgente, famoso anche per via degli attori che vi hanno recitato (Brad Pitt, solo per citarne uno). Ma il film non ha niente a che vedere con i poemi classici.

Innanzitutto, cosa banale ma che non tutti sanno, è che l'Iliade termina con i funerali di Ettore. Il cavallo e la presa di Troia sono narrati da Ulisse nell'Odissea. In sostanza il regista non ha rispettato la trama dell'Iliade, terminando il film con la presa di Troia, ma non ha nemmeno rappresentato entrambi i poemi. Quindi si pone a metà tra le due opere, senza approfondire bene nessuna delle due.

In secondo luogo non sono presenti le divinità. I poemi classici non possono essere reinterpretati togliendo gli dèi dalla scena solo per far sembrare gli uomini indipendenti e valorosi. Ad esempio, l'amore di Elena e Paride è mediato da Afrodite, che aveva promesso a Paride l'amore della donna più bella del mondo. Non è Paride a colpire Achille al tallone ma è Apollo che devia la sua freccia. Spesso le divinità stesse entrano nel combattimento, ferendo gli eroi e dirigendone le mosse.

Altro punto importante è la deviazione dalla trama dei poemi, e l'aggiunta di scene totalmente ex novo. Vediamo ad esempio la morte di Agamennone per mano di Briseide (che non è cugina di Paride ma è una semplice sacerdotessa), quando invece Agamennone muore per mano della moglie una volta tornato in patria; la parentela che lega Patroclo e Achille; l'amore tra Achille e Briseide, e tanto ci sarebbe ancora da dire.

Perciò, fidatevi, prendetevi del tempo e leggetevi i poemi (possibilmente l'edizione di Calzetti-Onesti, decisamente più scorrevole), non rimarrete delusi.

8) Chocolat (J. Harris)

Questo film, che vede protagonisti Johnny Depp e Juliet Binoche, è diventato famoso negli anni 2000, ricevendo numerose Nomination sia agli Oscar che ad altri premi cinematografici.

L'impegno di Vianne per aprire le menti dei compaesani e l'arrivo degli zingari che vengono da lei accolti come amici lo ha reso un film interessante anche punto di vista morale, oltre alla parte dedicata alla produzione del cioccolato. In pochi sanno però che Chocolat è basato sul romanzo omonimo di Joanne Harris, scritto solamente l'anno prima dell'uscita del film. Il film è abbastanza fedele al libro per quasi tutta la sua durata, ma si diversifica da esso per il finale. Inoltre dedica una buona parte della narrazione al cioccolato, alla sua produzione, alla sua storia, ed è questo che lo rende un romanzo affascinante e diverso dalla letteratura contemporanea.

La narrazione procede non del tutto spedita, vi sono grandi digressioni e descrizioni particolareggiate, ma che sono utili per permettere al lettore di immedesimarsi in questo piccolo paese francese, con tutti i suoi limiti e i suoi pregiudizi.

Una lettura fuori dalla norma, grazie alla quale possiamo sia cogliere una realtà storica e culturale diversa dalla nostra, sia incuriosirci riguardo tutto ciò che sta dietro il semplice cioccolato.

9) La leggenda di Sleepy Hollow (W. Irving)

Chi non ha amato il film di Tim Burton, con la sua atmosfera paranormale, i suoi personaggi al limite dell'assurdo e un Johnny Depp che riesce sempre a stupire? Eppure il racconto di Irving non ha niente a che vedere con la trama cinematografica.

Ambientato alla fine del 1700, il racconto narra le vicende di Crane, un pover'uomo innamorato di una bella ragazza e costretto a contendersi il suo interesse con il rivale Van Brunt. Durante una cena a cui Crane partecipa vengono raccontate diverse storie horror, tra cui quelle del cavaliere senza testa, e mentre Crane torna a casa si imbatte proprio in esso. Il racconto si chiude con la sparizione di Crane, che va ad alimentare la leggenda popolare.

Tim Burton si è liberatamente ispirato al racconto per il suo film, e ne è risultato un capolavoro, ma niente a che vedere con la storia originale che, seppur sia un racconto breve, riesce a far immedesimare il lettore nell'atmosfera cupa e nebbiosa del paesino infestato del Connecticut.

Il racconto, come già detto, è breve, e lo si legge davvero in fretta, soprattutto se aspettate il momento in cui comincierà la parte "poliziesca". Se invece lo cominciate già consci che non avrà niente a che fare con il film ve lo potrete godere in tutta la sua interezza, compreso lo stile e le descrizioni dei paesaggi.

Michela Bianco

Thirteen Reasons Why: tra romanzo e realtà

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Durante la primavera del 2017 una nuova serie tv, che ben presto ha creato scalpore e dibattiti, è apparsa su Netflix. Composta da soli tredici episodi, ancora oggi è oggetto di discussione e polemiche, sia per il tema trattato sia per il modo in cui questo viene trattato. La serie si basa sul romanzo di Asher, a cui la serie è rimasta fedele; tuttavia, sfruttando le tredici ore a disposizione, i produttori della serie hanno deciso di ampliare la storia e approfondire i punti di vista e i retroscena di ogni personaggio.

Thirteen reasons why, Tredici nella versione italiana, racconta la storia di Hannah Baker, una ragazza normale con una vita normale, fino a che non comincia l'anno scolastico in una nuova scuola, dove diviene ben presto oggetto di derisione e scherno. Questo bullismo psicologico la porta al suicidio, ma prima di tagliarsi le vene Hannah incide tredici cassette, ognuna delle quali contiene uno dei motivi per cui ha deciso di togliersi la vita. Le cassette vengono spedite alle persone che Hannah ha ritenuto responsabili e scopriamo che ha designato come colpevole non solo il ragazzo che ha abusato di lei, ma anche alcuni di quelli che Hannah considerava amici e che a un primo impatto non sembrano aver fatto qualcosa di così grave.

Vediamo come a condurla al suicidio non sia stato un unico, drammatico evento, ma un insieme di piccoli fatti che presi singolarmente hanno poca rilevanza, ma se visti nel complesso sono dei veri e propri atti di bullismo.

Perchè Hannah viene bullizzata? Non perchè sia una sfigata, sia brutta o grassa, ma perchè il primo ragazzo con cui è uscita ha raccontato agli amici che Hannah è una ragazza facile, e questo genera un effetto domino che porta sia all'umiliazione che alla violenza.

È facile designare Bryce, il ragazzo che violenta Hannah, come il maggiore responsabile, perchè la serie tv ha ingigantito molto la faccenda: nel libro Bryce commette violenza non perchè abusa di lei con la forza, ma perchè lo fa ignorando i sentimenti di Hannah, e dichiarando che siccome lei lo ha lasciato fare non è stato un vero stupro. È proprio qui che sta la critica al bullismo da parte dell'autore: ci sono vari tipi di violenza, e non è solo la costrizione ad avere un rapporto sessuale ad essere designabile come stupro. Tuttavia, per quanto assurdo, se gli altri episodi non fossero avvenuti, Hannah non sarebbe stata violentata da Bryce, e qui è necessario fare riferimento al libro ancora una volta: Hannah si trova da sola nell'idromassaggio con Bryce, sa che lui ha già violentato un'altra ragazza, Jessica, e sa che ha interesse per lei, e Hannah, che è talmente considerata una facile dai suoi coetanei che arriva al punto di crederci, mette alla prova se stessa. Dopo la violenza torna a casa sicura di essere finalmente quella che tutti credono: una puttana.

Lo stupro diventa l'epilogo di un anno duro e umiliante, in cui Hannah si è sentita da sola, tradita dai suoi amici e non capita. Hannah dà a se stessa un ultimatum: se il colloquio con lo psicologo della scuola non la aiuterà ad andare avanti si ucciderà. E il colloquio non la aiuta, sia perchè Hannah non riesce completamente a dire quello che le è successo sia perchè quel giorno lo psicologo non è molto attento. Tornata a casa Hannah si taglia le vene dei polsi nella vasca da bagno e viene ritrovata dai genitori qualche ora dopo.

Tredici ha dato origine a numerose polemiche, rivolte verso l'autore quando scrisse il romanzo e a Selena Gomez quando decise di produrre la serie. Un'accusa profonda, seguita da molte altre dello stesso tipo, venne rivolta alla serie dal padre di una adolescente, che pare si fosse uccisa dopo aver visto la serie, prendendo a modello Hannah: il padre accusò quindi Tredici di incitare i ragazzi al suicidio. Non è questo l'intento della storia.

Asher per primo dichiarò che inizialmente aveva pensato di salvare Hannah, ma poi decise che per dare una vera drammaticità alla storia e per far arrivare il messaggio più a fondo ai lettori fosse necessario che Hannah si togliesse la vita, che non ci fosse salvezza per coloro che la avevano portata a tanto.

Il romanzo mostra la storia solo dal punto di Hannah, e il lettore può solo che leggere gli atti di bullismo e violenza che le sono stati fatti. La serie tv, invece, mostra tutta la storia, i risvolti che le cassette hanno avuto sui singoli ragazzi e alcuni loro tentativi di redenzione (Sheri fa visita ai genitori del ragazzo morto a causa del suo incidente con il cartello stradale; Justin capisce quanto la sua amicizia con Bryce sia malata; Jessica confessa al padre di essere stata stuprata; Clay si avvicina a Skye e a turno confermano quanto detto da Hannah nelle cassette). Il suicidio di Hannah è servito loro per capire quanto le loro azioni siano state spregevoli, non solo verso di lei ma anche verso gli altri. Se Hannah fosse sopravvissuta il suo appello non si sarebbe mai diffuso, e ognuno avrebbe continuato con la propria vita.

Altre polemiche vennero mosse a Selena Gomez per la scena del suicidio. Nel libro infatti viene detto, per bocca di Clay, che Hannah ha ingerito delle pillole. Nella serie vediamo invece nella sua interezza la scena in cui Hannah si taglia i polsi con la lametta e la sua sofferenza. Stando alle critiche, questa scena ha causato un incremento del tasso di suicidi tra i giovani negli Stati Uniti e in Australia, e infatti nella serie vediamo prima dei due episodi di stupro e di quello del suicidio un avviso di Netflix in cui si dichiara che l'episodio contiene scene e contenuti forti. Ma il messaggio sarebbe stato altrettanto potente se quella scena fosse stata tagliata? La telecamera si sofferma sull'espressione di Hannah al momento del suicidio, vediamo la sua sofferenza fisica che non riesce a contrastare quella psicologica, facendo capire allo spettatore quanto la vita di Hannah sia stata distrutta da tutto ciò che le è stato fatto. Non è un suicidio romantico o letterario, è un suicidio che rivela quanto le azioni che vengono rivolte verso le persone possano avere un risvolto drammatico. Non mostra come il suicidio abbia liberato Hannah, ma mostra come abbia devastato la vita delle persone che la amavano.

Due parole sono da spendere anche per quanto riguarda il sequel della serie tv.

Il libro risulta tragico e toccante proprio perchè non termina, e per questo si rivela reale. La serie tv, invece, si mostra più irreale proprio per il finale: Alex si spara; vediamo Tyler con un numero considerevole di armi nascoste in casa; dalla famiglia Baker viene imbastito un processo contro le persone citate nelle cassette. Se i primi due servono a lasciare le porte aperte ad un seguito, il processo serve per rendere giustizia ad Hannah. Il sequel è un modo come un altro per cavalcare l'onda del successo di una serie che di per sè non ha più nulla da dire, mentre il processo è ciò che rende imperfetta la serie rispetto al libro. Il finale ci mostra come la giustizia possa trionfare: purtroppo la vita non è sempre così. Asher ce lo rivela descrivendo Clay che consegna le cassette alla persona dopo di lui: sta ai singoli individui metabolizzare le parole di Hannah e cercare di migliorarsi, di non commettere più le azioni che hanno spinto al suicidio una loro coetanea. Imbastire un processo è invece solo un modo per mostrare come il male alla fine venga sempre punito, una morale di cui la storia non ha bisogno, visto la profonda critica che già si cela dietro la storia.

Per concludere Tredici è una toccante storia che mostra in modo profondo i risvolti del bullismo tra adolescenti e che permette di fermarci a riflettere su di esso, mantenendo una drammaticità che non sfocia mai nel banale o nel patetico.

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Michela Bianco

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L’adolescenza è un periodo di transizione e quindi di cambiamento che non tutti sono in grado di accettare e affrontare: l’individuo sviluppa competenze sia fisiche sia mentali influenzate anche dal contesto in cui vive. Questa fase comincia con la pubertà che si verifica tra i 10 e 14 anni e in cui avvengono cambiamenti corporei, tra i più evidenti, su cui il/la ragazzo/a non ha alcun controllo.

Il corpo è un tema centrale in adolescenza, basta guardare quanto è importante, specialmente per le ragazze, truccarsi, vestirsi, essere alla moda ed essere quindi all’altezza di una società che impone un determinato stile. Di conseguenza, l’abbigliamento presuppone un bisogno di originalità, di distinzione, di indipendenza e nello stesso tempo di appartenenza, alla società, alla parte “che ha stile” del mondo. Tuttavia, durante lo sviluppo puberale, il corpo nelle ragazze si ammorbidisce e si allontana sempre più da quell’ideale diffuso dai media e ciò ha un impatto da non sottovalutare sulla loro identità sociale.
In Tredici il “corpo” è presente in ogni puntata: si può dire che gran parte della serie televisiva ruoti attorno a questo elemento e si concentri principalmente sull’oggettivazione del corpo della ragazza che verrà indicata, presa in giro e descritta proprio attraverso quel corpo, quelle forme nuove che diventeranno ben presto la sua gabbia oltre che, nelle mura scolastiche, uno stigma. Hannah (la protagonista) arriva a odiare il suo fisico dopo aver subito gli abusi dei compagni e inizia a pensare che a nessuno interessi che cosa c’è sotto la sua pelle.

H.G. Gadamer (1900 – 2002), filosofo tedesco e autore di “Dove si nasconde la salute”, sottolinea che la connessione tra malattia e corporeità sia proprio quella che ci consente di comprendere la corporeità stessa e come la malattia rappresenti un fattore di dis – equilibrio dell’uomo. Hannah un giorno sta bene, viene elogiata dai compagni che la fanno sentire amata e apprezzata e il giorno dopo ha addosso un’etichetta relativa al suo corpo che non sente di meritare e che le è estranea. A volte si prende poco sul serio l’adolescenza, specialmente il suicidio di un adolescente è visto talvolta come un atto di debolezza. Come sostenuto dall’articolo di M. S. Gould, T. Greenberg, D. M. Velting e D. Shaffer (2003), ogni anno, un adolescente su cinque negli Stati Uniti considera seriamente l’ipotesi del suicidio. Gli autori sottolineano che i fattori di rischio sono rappresentati da caratteristiche personali che possono riguardare la psicopatologia (infatti i disturbi depressivi sono costantemente i disordini più diffusi tra le vittime di suicidi) oppure l’abuso di sostanze. Questi elementi si possono ritrovare anche in Italia dove l’Istat afferma che si osservano tassi crescenti di suicidio con il crescere dell’età con 1,4% di suicidi ogni 100 mila abitanti fino a 24 anni. Le statistiche dell’OMS affermano che in Italia la depressione è una minaccia sottovalutata nel mondo moderno, specialmente verso le fasce più deboli della popolazione. Il suicidio è la terza causa di morte tra gli adolescenti a livello globale e la metà di tutti i disordini mentali di cui soffrono gli adulti cominciano intorno ai 14 anni di età.
Un elemento presente nella serie televisiva è il gruppo degli amici che rappresenta un luogo sicuro in cui condividere, stare in compagnia, discutere delle incertezze, sfogarsi, ma anche parlare della vita quotidiana. Il gruppo si lega anche alla dipendenza, un concetto presente sin dall’infanzia poiché il bambino dipende dai genitori e ha un legame di attaccamento con essi, specialmente con la mamma ma, in adolescenza, i coetanei diventano fondamentali per affrontare la realtà e prendono possesso del ruolo appartenuto ai genitori, i quali vengono spodestati e talvolta non riescono a entrare in contatto con quello che, fino a poco prima, era il loro bambino.
Naturalmente il gruppo, essendo tale, può diventare capace di distinguere un individuo più fragile che può rappresentare il “diverso”, vissuto come una minaccia intollerabile, e che va eliminato. Così nasce il bullismo e la “vittima” diventa il capro espiatorio poiché rappresenta le caratteristiche della debolezza e della diversità. Hannah, ad esempio, è la ragazzina nuova, quella che tenta di fare amicizia ma non ci riesce e non è come le altre ragazze della scuola, le quali sono più avanti di lei su ogni fronte, lei non è ancora pronta, si vergogna di sé stessa, si assume la colpa anche quando non è sua. Alcuni studi hanno evidenziato che subire molestie può contribuire alla nascita di disturbi depressivi, alla disperazione e alla solitudine, i quali sono fattori di rischio e precursori di pensieri e comportamenti suicidari. Inoltre i mezzi di comunicazione che gli adolescenti hanno a disposizione possono contribuire alla proliferazione del bullismo e delle sue vittime. Il bullismo può comportare la violenza fisica, la violenza verbale e l’uso quindi di comportamenti manipolatori e subdoli come atti intimidatori che portano la persona ad avere paura dell’altro.
La prima stagione della serie televisiva si conclude con il peggiore degli esiti per la ragazza, forse il motivo scatenante che l’ha portata a compiere quell’ultimo ed estremo gesto: un abuso sessuale da parte di un compagno di scuola. La scena è raccapricciante: lo sguardo della ragazza è vuoto, quasi rassegnato, come se ormai non avesse nulla da perdere. Ed è qui che la trasformazione da donna a oggetto si completa: dopo essere stata tagliata fuori dai suoi amici; dopo essere stata chiamata con appellativi sminuenti da colei che considerava sua amica e che non le ha mai chiesto scusa; dopo aver subito palpeggiamenti in pubblico contro il suo volere; dopo essere stata fotografata in atteggiamenti intimi con una sua compagna che poi si scoprirà omosessuale e che taglierà Hannah fuori dalla sua vita e tenterà di isolarla dal resto della scuola; dopo essere stata umiliata, nuovamente toccata contro il suo volere dall’ennesimo ragazzo che si sentiva in diritto d fare ciò che voleva di lei e del suo corpo; dopo aver assistito allo stupro di una sua amica, adesso toccava a lei. Ci troviamo di fronte a un cerchio che si chiude, l’esasperazione della ragazza è giunta al punto di non ritorno, Hannah non ha più nulla. Le sue emozioni, già di difficile gestione in adolescenza, sembrano non esistere più: non c’è rabbia, non c’è contentezza, non c’è nulla che la trattenga.
Il benessere degli adolescenti è il risultato finale di un insieme di contesti, come la famiglia, la scuola e le amicizie e può accadere che senza una rete solida su cui cadere se si compie un errore (spesso rappresentata dai contesti precedentemente sottolineati) e in mancanza di risorse psicologiche adeguate non si riesca a tollerare il peso di questo momento della vita.
Ancora più toccante è il dolore dei genitori di Hannah, i quali non si danno pace e non capiscono che cosa abbia portato la figlia a compiere quel gesto disperato e come sia stato possibile non accorgersi di che cosa la loro Hannah stesse vivendo sotto i loro occhi.
A volte i cambiamenti biologici e psicologici associati alla pubertà, il peso del desiderio di diventare grandi e di dimostrare a tutti che cosa si è in grado di fare e, contemporaneamente, il peso del rendersi conto che in realtà così grandi non si è e che per molte cose si dipende dal giudizio altrui oltre che dai genitori, può essere nocivo per l’adolescente.
In conclusione, Hannah non ha trovato un contesto adatto ad accoglierla, né persone in grado di condividere con lei questa fase e di accompagnarla in un percorso difficile ma non impossibile. Eppure tali elementi sono fondamentali per il benessere fisico e mentale, soprattutto in un periodo come l’adolescenza: nella società si avverte, sempre di più, la mancanza di sostegno delle relazioni sociali e un conseguente declino delle strutture educative che dovrebbero promuovere la salute e valorizzare la persona, aiutandola a costruire il proprio patrimonio identitario. Ciò che emerge in Tredici è proprio questo: la mancanza di comprensione del dolore, della sofferenza e della vulnerabilità di Hannah e la promozione di un clima inadatto alla crescita e allo sviluppo dei ragazzi.

Alessandra Sansò

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Bibliografia

E. Crone, Nella testa degli adolescenti, Feltrinelli, 2015

Suicide and Friendships Among American Adolescents, Peter S. Bearman, James Moody, January 2004, Vol 94, No. 1, American Journal of Public Health

Suicidal Ideation in Adolescence: Depression, Substance Use, and Other Risk Factors

Denise B. Kandel, 1 Victoria H. Raveis, 2 and Mark Davies, Journal of Youth and Adolescence, VoL 20, No. 2, 1991

Youth Suicide Risk and Preventive Interventions: A Review of the Past 10 Years

MADELYN S. GOULD, M.P.H., TED GREENBERG, M.P.H., DREW M. VELTING AND

DAVID SHAFFER, M.D.

 

Dove si nasconde la salute, tr. it. di M. Donati e M.E. Ponzo, intr. Di A. Grieco e V. Lingiardi, Cortina, Milano 1994; Gadamer

Sameer Hinduja & Justin W. Patchin (2010) Bullying, Cyberbullying, and Suicide, Archives of Suicide Research, 14:3, 206-221, DOI: 10.1080/13811118.2010.494133T

 

Braibanti P. , Ripensare la salute, Franco Angeli, Milano, 2015.

Bertini M., Psicologia della salute, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2012.

Tredici (J. Asher), Mondadori 2017

Thriteen reasons why  (Produzione Netflix), 2017 

 

Biblografia foto
https://studybreaks.com/tvfilm/13-reasons-why-questions/

 

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13 Reasons Why
Ritornerò

Ritornerò

 

Stavamo percorrendo un sentiero invisibile da diverse ore.

Le gambe mi dolevano, le scarpe si spaccavano sempre di più ad ogni mio passo.

Io e i miei compagni ci guardavamo a vicenda. Eravamo stanchi, spaventati e affamati, ma non potevamo fermarci.

 

Non riuscivamo nemmeno a voltarci, per guardare quella che una volta era stata casa nostra. Ci sentivamo come animali, braccati e affamati. Costretti a rifugiarci nei boschi e sulle montagne. Le nostre montagne.

Io continuavo a camminare, ma la mente si allontanava sempre di più dal sentiero invisibile del bosco. Ogni tanto mi inciampavo su qualche ramo o radice coperta dalle foglie secche. Nella mia testa compariva il ricordo di mio padre, di quella mattina che mi sgridò perchè non volevo andare a scuola. O più indietro a mio nonno, che mi insegnava a tagliare la vite, sotto un  sole tenue di ottobre.

Ripensavo spesso a quei momenti felici, di vita quotidiana. Ripensavo alla mia infanzia. Alla mia casa. Quando ancora ero un ragazzo, libero. Darei qualsiasi cosa pur di tornare a quegli attimi, anche per riviverli solo qualche minuto. Ma non si può più tornare indietro. Si può solo andare avanti. Dovevamo andare avanti.

La guerra prima, l'armistizio poi, hanno interrotto la mia infanzia. Mi hanno privato di tutto. E mi hanno fatto diventare uomo. La libertà mi è stata strappata via. E per tentare di riprendermela, ho dovuto scegliere la via più pericolosa: sono dovuto diventare un bandito, o come ci chiamavano gli uomini in divisa, un ribelle.

Mi sono ritrovato là, sulle montagne, a percorrere sentieri fantasma conosciuti solo da noi e dagli animali, per sfuggire al nemico.

Ogni tanto incrociavo sguardi simili al mio.

Eravamo tutti ragazzi giovani, neanche ventenni, cresciuti assieme o provenienti da paesi vicini. Tra di noi c'era qualcuno di più esperto, ma la maggior parte erano contadini a cui era stato dato un fucile in mano.

 

Un segnale dal capitano e la colonna improvvisamente si arrestò. Smisi di fantasticare per tornare nel mondo reale.  Ci trovammo immersi nell'oscurità. I respiri diventarono più pesanti. Il cuore battè più forte. Le mani strinsero i fucili.

Un altro segnale e la colonna ricominciò la salita. Sentii sospiri di sollievo intorno a me. Non era che un  falso allarme. L'ennesimo in quei giorni di tensione.

Per fortuna, non mancava molto alla cascina.

Da giorni  circolavano voci su un possibile piano di attacco dei tedeschi. Non potevamo  permetterci di farci catturare proprio a casa nostra. In poco tempo eravamo diventati numerosi, avevamo ideato dei piani e iniziavamo a fare paura. Loro invece, stavano progettando il modo per distruggerci. Anche se ci sentivamo al sicuro tra gli alberi e in fondo alle grotte, sapevamo del pericolo che poteva piombarci addosso da un momento all'altro. Eravamo sempre in tensione.

 

Quando il bosco iniziò a diradarsi, la luce delle stelle schiarì sempre di più il paesaggio. Vedemmo una luce fioca in lontananza. Era il segnale che speravamo di trovare. Eravamo giunti a destinazione.

Il campo era già stato allestito da un altro gruppo. Sapendo del nostro arrivo, avevano messo da parte alcuni pezzi di pane raffermo e del salame. Un contadino aveva regalato del formaggio a un ragazzo che non esitò a dividerlo col resto della compagnia. Continuavamo a ripeterci che sarebbero arrivati tempi migliori, ma fino ad allora, dovevamo resistere.

Ero talmente sfinito che mi addormentai quasi subito, lasciando a metà la mia misera razione. Non ebbi nemmeno la forza di scambiare due parole con chi mi circondava.

 

Nei miei sogni tutto era come un tempo. Il paese era pieno di gente, tutti sorridevano. Mio padre tornava dalla vigna con mio nonno, mia madre preparava il sugo, spargendo per la stanza un profumo intenso, inimitabile. Le case erano ancora li, con i comignoli che sputavano fumo bianco e i rumori delle massaie in cucina.

Io giravo nei boschi con mio fratello, alla ricerca di qualche lepre da stanare e portare alla mamma.

Ero ancora un bambino. Non esistevano divise, non esistevano armi, non esisteva la morte. Il mio unico pensiero era trovare qualcosa da fare per far arrivare la sera.

Nei miei sogni ero libero. Eravamo tutti liberi.

Ad un tratto, il mio sogno svanì. Fui svegliato dallo stivale di un mio compagno. Era Arturo. Lo fissai. Com'era cambiato in questi ultimi anni. Aveva perso sì e no dieci chili e una brutta ferita gli aveva fatto perdere due dita della mano destra, ma riusciva ancora a stringere il fucile meglio di me.  Eravamo saliti insieme sulle montagne, entrambi spinti dallo stesso desiderio. Lui aveva perso il padre e cercava vendetta. Ma nei suoi occhi color del cielo, regnava incontrastata la paura.

Con un cenno del capo mi avvisò che toccava a me fare la guardia. Avevamo instaurato un dialogo muto, fatto solo di sguardi e gesti. Difficilmente ci mettevamo a parlare, anche perchè finivamo sempre col ripensare ai nostri cari e ovviamente, a casa. Il ricordo faceva troppo male. Preferivamo ricordarlo ognuno nella propria testa e piangere in silenzio.

Mi rimisi in piedi, tolsi le foglie secche dal cappotto fradicio e mi andai a sedere su una roccia poco più in alto. Arturo invece si sistemò al mio posto e cadde addormentato dopo pochi minuti.

 

Quella vita ci stava distruggendo. Ma non potevamo fare altro. Fortunatamente gli inglesi ci inviavano via aereo viveri e armi. Alle volte, sfidando il divieto, qualche contadino ci dava qualcosa da mangiare o dei vestiti puliti.

Mi era capitato di ricevere una giacca da un pastore che viveva sull'altro versante del monte. Era appartenuta a suo figlio. Anche lui era un partigiano, ma sapendo della madre malata, era sceso a valle per vederla un'ultima volta. I tedeschi lo presero sulla via che portava all'ospedale. Lo caricarono su un camion e non lo videro mai più. Mi impressionò con quanta calma il pastore mi raccontò del sequestro del figlio. Non si sforzò nemmeno di trattenere le lacrime. Mi disse che le aveva già versate tutte, ed ora non provava più nulla.

Mi riaffiorò alla mente quella mattina di settembre. Dopo aver sentito la notizia dell'armistizio alla radio, me ne andai nei boschi. Fu una decisione quasi spontanea.

Mio fratello era morto, indossando una divisa che non gli apparteneva. Forse la mia decisione di diventare un ribelle, un traditore, un bandito era anche un modo per sentirmi meno in colpa. Lui era dovuto andare, io no.

Non ne potevo più di vivere in quel modo. La fame, il freddo, patire come cani per cosa? Un ideale di un pazzo invasato? I crucchi non avevano portato che guai.

Anche in paese le cose non andavano meglio. Padri e figli non erano più tornati. Mogli, madri e figlie piangevano e vagavano per le strade come fantasmi. Alcune stringevano le foto dei cari ormai morti come fossero rosari. 

Io e mio fratello avremmo dovuto coltivare la vite col nonno, trasformarlo in vino con papà. Farci una famiglia e vivere anche noi in paese. Ma ormai questa vita era solo un'utopia. Mio fratello non era più con noi, come molti altri giovani del nostro piccolo paese.

I pochi rimasti respinsero il richiamo alla Repubblica Sociale Italiana e si uniroro ai gruppi di resistenza armata. Tra quelli c'ero anche io.

 

Ed eccoci là, gli ultimi giovani rimasti, nascosti tra i nostri amati boschi. Passavamo di cascina in cascina, per portare messaggi, recuperare munizioni e farla pagare ai veri colpevoli.

Rimasi di sentinella finchè non arrivò l'ordine di rimetterci in marcia. Era ormai pomeriggio quando ci inoltrammo ulteriormente nel bosco.

Ma gli animi erano agitati. La voce che i nazisti volevano farcela pagare per le ultime incursiosi circolava con più vigore. Sapevano dei nostri movimenti ed erano meglio equipaggiati.

Si vociferava che volessero attuare un rastrellamento e portarci tutti via, in quei campi della morte al nord.  I camion erano già nel piazzale di Voltaggio, pronti per caricarci.

Ma il nostro capitano ci rassicurava dicendoci che non potevano permettersi un dispiegamento di forze così massiccio. E per contrastare chi? Contadini con fucili d'epoca? No, potevamo stare tranquilli, sempre vigili certo, ma tranquilli che il rastrellamento non sarebbe avvenuto.

Camminammo ancora per tutta la notte. Nelle brevi tappe scrivevo lettere a mia madre, rimasta con papà in paese. Forse un modo per rimanere sano di mente, o forse per non pensare ai morsi della fame. Ne scrissi anche una in previsione della mia morte. Mentre  la mano scorreva sul foglio tutto spiegazzato, mi si era formato un groppo in gola e le lacrime formavano piccole gocce sulla carta. Era da tanto che non piangevo.

Scrivere una lettera di addio ai propri cari quando si ha poco più che 17 anni non è facile. Lo stesso pensiero della morte spaventa.

Ma quando feci lo zaino per salire in montagna ed unirmi ai compagni, sapevo a cosa stessi andando incontro.

Mi sentivo quasi in dovere di partire. Per mio fratello, per i miei amici morti chissà dove. Per la mia famiglia. Per il mio paese.

Giu a Valle non si parlava volentieri dei briganti delle montagne. Sopratutto quando c'erano divise nei paraggi. Ma quando seppi di loro, delle loro gesta per contrastare i crucchi, non esitai un momento. Non mi voltai nemmeno quando varcai per l'ultima volta la soglia di casa. In cuor mio sapevo benissimo che potevo anche non far ritorno, ma forse il mio sacrificio non sarebbe stato vano.

Dovevamo difendere noi e la nostra terra. I tedeschi dovevano andarsene. I fascisti dovevano sparire.

Cercai di togliermi il pensiero della morte in testa. Avevo promesso a mia madre che sarei tornato.

Dandole le spalle, poco prima di partire avevo sussurrato più a me stesso che a lei <<tornerò mamma...ritornerò.>>. Non so ancora perchè dissi quelle parole. Forse perchè mio fratello non le disse. E non tornò.

Quella povera donna vide entrambi i suoi figli varcare la soglia di casa per un ideale. Uno indossando una divisa da soldato, l'altro da bandito.

 

Alla mattina ci accampammo in una radura protetta dagli alberi. Quello era un luogo sicuro. Le voci di un possibile rastrellamento si facevano sempre più concrete e vive tra i ranghi della brigata. Lo sconforto iniziò a dilagare tra gli animi.

Ma il  nostro capitano non si perse d'animo e continuò a smentire ogni possibile voce su un imminente arrivo dei crucchi.

Le sue parole parvero rassicurarci ma stringemmo ancora di più i nostri fucili e le nostre pistole.Tutti avevano perso un parente, un amico, e avevamo il cuore pieno di rabbia.  Cervavamo lo scontro, ma allo stesso tempo lo temevamo.

Mi tolsi gli stivali e il sangue dalle vesciche iniziò a uscire copiosamente. Il dolore era lancinante, ma dovevo stringere i denti. Riuscii comunque ad addormentarmi,  con la schiena appoggiata alla parete fredda di una pietra, quasi abbracciato al fucile.

 

All'alba del 6 aprile 1944, ci rimettemmo in marcia. Era il Giovedì Santo. Non riuscii a non pensare a casa. Ai preparativi per la Pasqua imminente. Chissà se in Paese avrebbero festeggiato.

Il capitano aveva mandato delle sentinelle in avanscoperta, e verso le otto del mattino, ritornarono. Era Giulio. Bianco come il latte, gli occhi sgranati. Si era fatto tutto il crinale di corsa per poterci avvisare nel minor tempo possibile.

<<Capitano....capitano...i tedeschi stanno arrivando... >>.

Calò il silenzio. Anche il lieve vento del mattino cessò di soffiare. Tutto era immobile. I tedeschi stavano arrivando. Erano li. Allora era vero. Le voci erano vere.

Tutti iniziammo a sussurrare, eravamo spaventati.

Ma il capitano cercò di mantenere la calma nel miglior modo possibile.

<< Dobbiamo ripiegare sulla Benedicta...non abbiamo altra scelta.>>

Ed iniziammo quella marcia forzata. I combattenti più esperti si misero in testa.

Ma tra di noi c'era anche chi non aveva mai imbracciato un fucile. Ecco allora i primi attacchi di panico. Il figlio del fornaio era al mio fianco, quando all'improvviso si fermò di colpo. Rallentai il passo per chiamarlo, ma quando capii che era come pietrificato, ritornai indietro. Non potevo lasciarlo lì.

Niente. Continuava a guardare la foto della sua famiglia. Di quel nucleo numeroso, non era rimasto che il nonno materno. Tutti uccisi, o in guerra o dalle bombe. Suo padre era stato portato via dai fascisti perchè  l'avevano sorspreso a dare del pane extra ad una bambina che stava morendo di fame. Lo picchiarono sul posto e lo trascinarono via chissà dove.

Cercai di smuoverlo a continuare a camminare come meglio potevo, ma sembrava un blocco unico di marmo.

Con un gesto disperato, gli strappai la fotografia dalle mani e cercai di recuperare terreno dai compagni. E finalmente si mosse anche lui. Aveva le lacrime agli occhi e gli colava sangue dal naso. Non ci dicemmo una parola. Gli riconsegnai la foto.

I nostri sguardi parlavano da soli.

I tedeschi stavano effettivamente salendo sul Monte Tobbio. Al levar del sole cinque colonne avevano intrapreso una marcia di avvicinamento, in modo da chiudere tutte le vie di fuga e braccarci in una delle nostre basi.

 

 Il sole era proprio al centro del cielo quando giungemmo nei pressi del cascinale. Ma non sapevamo a cosa stavamo andando incontro. Pensavamo di essere al sicuro li, tra i muri dell'antico convento, ma ci sbagliavamo di grosso.

Il gruppo di testa si ritrovò faccia a faccia con un gruppo di nazisti.

Ci stavano aspettando a braccia aperte. Eravamo in trappola. Era tutto finito.

Iniziammo una lotta disperata ma erano troppo numerosi e meglio armati.

Finì tutto in breve tempo.

I compagni che erano in coda si fecero prendere dal panico e tentarono in tutti i modi di uscire da quella trappola di morte.

Non so se qualcuno riuscì effettivamente a scappare.

Io mi  ritrovai faccia a terra. La mia mano era bloccata da uno stivale nero, lucido, incrostato di fango. Intorno a me spari, urla e grida in una lingua che avevo imparato ad odiare.

Quelli di noi che non venenro uccisi durante lo scontro furono ammassati come bestie nell'antica cappella. Pensavamo di morire quel giorno, ma la nostra agonia non aveva ancora fine. Cercai tra i corpi ammassati e tremanti quello di Arturo. Era attaccato alla porta della cappella. Il volto insaguinato, ma vivo.

 

Passammo una notte insonne. C'era chi pregava, chi bagnava le foto di famiglia con lacrime salate, chi scriveva lettere a mogli, fidanzate e bambini. Eravamo tutti certi che la prossima alba sarebbe stata l'ultima.

Io mi trovavo in fondo alla cappella, la luce della luna non riusciva a filtrare fino li. Ero sommerso nel buio. Eravamo talmente accalcati che riuscivo a sentire i loro respiri, forse addirittura i loro battiti. Ogni tanto si sentiva fumo di tabacco, segno che qualche guardia crucca stava fumando davanti all'ingresso della nostra cella improvvisata.

Pensavo alla mia famiglia, a mio fratello ma non riuscivo a piangere. Dunque era veramente finita.

La mia ultima notte su questa terra.

Ero spaventato si, ma allo stesso tempo provavo una strana tranquillità. Ero sereno.

Mi ero convinto che il nostro sacrificio non sarebbe andato sprecato. Dopo di noi molti altri sarebbero saliti sulle montagne, avrebbero imbracciato il fucile e la resistenza avrebbe continuato ad esistere.

Noi non eravamo gli ultimi. Eravamo i primi.

Approffitando dei raggi di luna, cercai di vedere i volti dei miei compagni, i miei amici. Anche se con alcuni di essi non ci avevo scambiato che qualche sommaria parola, mi sentivo legato a loro in un modo particolare. Quasi morboso. Eravamo uniti nella lotta e saremo uniti nella morte.

Cercammo di addormentarci, ma credo che nessuno chiuse occhio quella notte.

 

Il sole sorse fin troppo presto.

Sentimmo le urla e i passi pesanti dei tedeschi. Fecero uscire la maggior parte dei prigionieri. Io ero in fondo quindi non fui fatto uscire dalla cella. Cercai  nel gruppo Arturo, ma non lo vidi. Li stavo scrutando uno ad uno quando all' improvviso mi sentii afferrare la spalla. Mi voltai ed eccolo lì. Era riuscivo a spostarsi nella notte. Un camerata fece avanzare gli ultimi della fila di prigionieri dando lorodei colpi sulla schiena con la canna del fucile. Li condussero nel cortile dell'antico convento. Tra di noi non volò un fiato. Osservavamo in venerato silenzio quella macabra colonna di morte.

Dopo essere stati spogliati di ogni cosa, un meticoloso tedesco si segnò il nome di ogni prigioniero. I tedeschi sanno essere precisi anche quando compiono barbarie.

 Un ragazzo aveva al collo una collanina con le foto dei suoi genitori. Rimase impassibile alle intimidazioni del soldato tedesco di toglierla. Allungò la mano guantata di pelle e con un colpo secco gliela strappò dal collo. Con disprezzo la getto a terra e la calpestò con tutta la rabbia che aveva in corpo.

Il giovane rimane impassibile, l'occhio fisso su un punto all'orizzonte. Non una lacrima rigò il suo viso.

 

Poi tutto iniziò. A gruppi di cinque li condussero sul sentiero che porta al Rio Gorgente. Gli spari riecheggiarono nella vallata per tutto il giorno.

Solo quando il sole toccò la linea del tramonto le mitragliette cessarono di sputare proiettili.

A terra giacevano 96 corpi.

Io ed altri compagni eravamo ancora rinchiusi nella cappella. Non avevamo più la forza di piangere. Avremmo voluto fare qualcosa, ma ci sentivamo impotenti. Ero pietrificato dinanzi a tutto quell'odio. Com'è possibile che un uomo simile a me possa essere capace di compiere gesta simili? Come fanno a dormire la notte?

Anche io ho ucciso per necessità. Continuavo a ripetermi  " o la mia vita o la sua". Ma mi ricordo ogni singolo volto. Ricordo le loro espressioni sul punto di morte. E sapevo per certo che quegli sguardi sarebbero stati con me anche nella tomba.

All'improvviso, la porta si aprì. Entrò prima la bocca di un mitra, poi il corpo di un  fascista, che  ci ordinò di uscire fuori. Non eravamo rimasti in molti. Anzi, se volevano potevano ucciderci all'istante e si sarebbero risparmiati tutta la trafila dei nomi e della marcia.

Ma non ci portarono nel piazzale. Ci diedero delle pale. Ci guardavano tutti, non stavamo capendo più nulla.

E poi ecco l'ordine. Dovevamo scavare delle buche. Le fosse per i nostri compagni.

Coi fucili puntati sulla schiena, ci mettemmo a scavare. Alcuni di noi avevano la vista annebbiata dalle lacrime, altri non riuscivano più a contenere la bile.

Non bastava ucciderci, dovevano umiliarci fino all'ultimo.

Ma chi avrebbe scavano le nostre fosse poi?

In cuor mio sapevo che non sarebbe finita li. Il futuro aveva in serbo per noi ancora qualcosa. Capii che non potevo arrendermi proprio adesso. La nostra Brigata non esisteva più ma noi eravamo ancora li. Sistemammo i corpi e li ricoprimmo alla bell'e meglio.

Ci rinchiusero di nuovo nella cappella. Avevano ancora dei ribelli da stanare prima di farci fuori tutti. Ci misero una sentinella di guardia. Era un ragazzo giovanissimo, forse mio coetaneo. Aveva uno sguardo innocente, come a chiedersi perchè fosse finito li. E commise l'errore più grosso della sua vita: si addormentò.

Le tenebre dominavano il paesaggio quando io e Arturo decidemmo di tentare la fuga. Non potevamo farci scappare un'occasione del genere. Meglio provare e morire che non provarci affatto.  Cercarmmo di convincere i nostri compagni, ma erano troppo avviliti. Le emozioni provate durante il giorno erano state veramente forti.

Sforzammo il lucchetto che ci teneva rinchiusi e fuggimmo a gambe levate tra i boschi.

 

Non ci potevo credere. Era filato tutto liscio. Corremmo a perdifiato, senza mai voltarci indietro. Arrivammo fino ad un vecchio nascondiglio. Pregammo di trovarci armi e munizioni. Ma erano arrivati prima i crucchi.

La grotta era intrisa di sangue. Lì era stato compiuto un massacro. A testimoniarlo, i corpi deformati dei nostri compagni. Rimasi impietrito di fronte a quello spettacolo. Ciò che era accaduto alla Benedicta mi aveva sconvolto, ma non mi ero ancora abituato all'odore acre della morte.

Arturo trovò un fucile con qualche munizione. Volevamo dare degna sepoltura a quei ragazzi, ma non potevamo trattenerci oltre. Recitammo una preghiera e ci inoltrammo ulteriormente nel bosco.

 

I tedeschi misero a ferro e fuoco tutta la zona del Monte Tobbio, bruciando e distruggendo tutte le cascine che trovavano sul loro cammino. Dovevamo stare attenti a non imbatterci in qualche squadra.

Decidemmo alla fine di scendere a valle, tornare al paese e alle nostre famiglie. Ma dovevamo essere sempre vigili. Sentimmo un rumore di passi. Erano pesanti, troppo pesanti per essere tedeschi. Ci nascondemmo comunque dietro ad una grossa roccia. Arturo puntò il fucile nella direzione dei presunti passi. Sbucarono due ragazzi, erano partigiani.

<< Da dove venite voi due? >>

<<....dalla Benedicta >>

Ci guardarono stupefatti. Eravamo forse gli unici superstiti di quel che era successo lassù. La voce del massacro aveva già iniziato a girare.

<< Noi stiamo scendendo a valle....Non possiamo più vivere così.Ci presentiamo al comando tedesco...dicono che non ci porteranno via. >>

Io e Arturo ci scambianno uno sguardo attonito. Se i partigiani si consegnavano ai crucchi, la speranza era morta. Avevamo perso.

Da cosa stavamo scappando? Forse allungavamo solo l'attesa della nostra morte.

Trovammo uno spiazzo riparato e ci riposammo. Chiesi cosa fosse questa storia del consegnarci ai crucchi.

<< E' arrivato mio padre e mi ha spiegato che se ci consegnamo, i tedeschi ci condonano la pena prevista e non ci spediscono in Germania sui treni.... >>

Lessi quasi un velo di vergogna sul volto di quel giovane, che come me aveva riposto tutte le sue speranze della Brigata.

<< Noi abbiamo scelto di scendere...entrambi vogliamo riabbracciare i nostri cari...se volete unirvi a noi, siete i benvenuti. >> Era un invito quasi forzato.

Io e Arturo ci scambiammo uno sguardo disperato, non sapevamo cosa fare. Ma eravamo stanchi, malnutriti e pieni di sconforto. Alla finedecidemmo anche noi di scendere.

 

Giungemmo dinanzi al Comando. Dopo essere stati schedati, ci caricarono su un Camion. Passammo attraverso tutti i paesi: Morsene, Rossiglione, Masone fino all'arrivo a  Genova. Per i tedeschi farci fare quella "parata" era un modo per umiliarci, ma in realtà tutti gli sguardi che incrociammo erano di ammirazione e di orgoglio. Eravamo visti come degli eroi. Arturo era commosso. Ma io non ci trovavo niente di eroico. Ero scappato come un vigliacco, mi ero costituito al nemico, troppo stanco e atterrito per continuare la lotta.

A Genova dovevano sistemarci alla Casa dello Studente, però non c'era posto. Ci riportarono indietro e fummo rinchiusi a Voltaggio. Li, incontrammo i nostri compagni sopravvisuti all'eccidio, catturati durante il rastrellamento sul Monte Tobbio. Ci scambiammo qualche sorriso d'incoraggiamento, nulla di più.

Al mattino ci fecero radunare nel cortile delle scuole. Ad attenderci c'era una figura già vista, ma non riuscivo a ricordare dove. Poi ecco, lo rividi in mezzo al piazzale del sacrario. Quel crucco era presente alla Benedicta. Aveva dato lui l'ordine di sparare.

Si presentò come maggiore Rotherpieler. Ci fece un discorso molto amichevole, ma nella mia testa risuonavamo ancora le urla di agonia, gli spari e i pianti incessanti di chi assisteva alla morte degli amici. Ci veniva data la possibilità di riabilitarci e riscattare la nostra colpa; in cambio dovevamo solo combattere o lavorare per la causa dell' Italia e della sua alleata. Ci assicurò che ci avrebbero smistato ai centri di reclutamento. Da buon tedesco qual era, ci diede la sua parola d' onore che non saremmo mai stati inviati in Gemania.

Un'ora dopo, giungemmo a Novi. Fummo alloggiati a Villa Rosa, circondati da sentinelle armate e reticolati di filo spinato. Alla vista di quel dispiegamento di forze, sapevo che le parole di quell'uomo non erano che fumo negli occhi per noi poveri disperati.

 

Sulle montagne avevo sentito spesso parlare dei campi del Nord, dove ti fanno lavorare fino alla morte. Ma li per lì mi sembravamo non più che storie. Esaltazioni della guerra. Un uomo non può arrivare a tanto. Ma non avevamo ancora conosciuto i crucchi. Nei loro occhi leggevamo un odio mai visto prima. Ci disprezzavano. Eppure, molti dei loro erano ragazzi come noi.

Il 12 aprile 1944, salii sul treno. In 400 partimmo per la Germania. Arturo era sempre al mio fianco.

 

Persi il conto dei giorni trascorsi chiuso in quel vagone.

Quando finalmente sentì i freni stridere e i portelloni aprirsi, un vento gelido mi sferzò il viso. Dinanzi a me si stagliava un' imponente fortezza in pietra: ero arrivato a Mauthausen.

Gli occhi mi si riempirono di lacrime.

E nel profondo del mio cuore sussurrò una frase : tornerò mamma...ritornerò.

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Beatrice Citron

Libri da avere nella propria libreria

I libri da avere nella propria libreria

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1) Cose che nessuno sa (A. D'Avenia)

Letteratura italiana contemporanea, scritto da un professore di liceo, già autore di Bianca come il latte, rossa come il sangue.

Viene raccontata la storia dell'abbandono vissuto da una ragazzina di appena quattordici anni, della paura di amare da parte di un professore, e dell'amore puro e ingenuo di due adolescenti. Con lo stile inconfondibile di D'Avenia, maturato e approfondito rispetto al primo romanzo, vengono affrontate diverse tematiche in modo mai superficiale, e talvolta innovativo.

Un libro che permette di comprendere situazioni abituali, di rispecchiarci in esse e di scoprire qualcosa in più sulla realtà di tutti i giorni.

Ciò che maggiormente colpisce è lo stile di D'Avenia e la sua capacità di descrivere eventi normali in modo anormale. È un libro che si presta alla riflessione, e nonostante la trama sia di per sè esigua, gli spunti sono molteplici.

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2) Madame Bovary (G. Flaubert)

Il personaggio di Emma Bovary viene spesso utilizzato come l'emblema dell'innamoramento romantico, e viene paragonato ad altri personaggi della letteratura ottocentesca. Ma perchè il personaggio di Emma Bovary è diventato un archetipo di tutta la letteratura successiva?

Innanzitutto viene mostrata la condizione della donna in una società chiusa e conservatrice, e dei tentativi di una donna all'avanguardia di evaderne.

In secondo luogo possiamo vedere come il personaggio di Emma sia il classico esempio della ragazza innamorata non di un uomo, ma dell'idea dell'amore. E sarà questo a causare la sua eterna infelicità. Proprio per questa ragione trovo che Madame Bovary sia un romanzo molto moderno, perchè nella società contemporanea siamo cresciuti con degli stereotipi dell'amore ben precisi (il Principe Azzurro, le rose rosse a San Valentino, la dichiarazione d'amore sotto la pioggia ecc), stereotipi che si smontano da soli man mano che si cresce, ma che rimangono sempre degli archetipi nella nostra mente.

È una lettura scorrevole, con un linguaggio semplice e una trama interessante.

 

3) Il signore degli anelli (J. Tolkien)

Classico fantasy, conosciuto da tre quarti della popolazione, sta alla base di tutto il fantasy dal '900 in avanti.

Pochi fan si sono dedicati tuttavia alla lettura dei romanzi, limitandosi alla trasposizione cinematrografica di Peter Jackson: è un fenomeno ricorrente, soprattutto nelle generazioni più giovani.

Per quanto Peter Jackson sia stato in grado di rendere giustizia alla saga, i libri hanno qualcosa in più che ci permette di apprezzare maggiormente la storia. Nei libri troviamo innanzitutto personaggi nuovi (come Tom Bombadil), scene nuove (come la parte dedicata a Saruman e a Vermilinguo verso la fine) e scene in cui gli avvenimenti differiscono da libro a film (ad esempio, come Aragorn entra in possesso di Anduril, la spada).

Tuttavia la lettura può risultare un po' ostica, specialmente se non si è degli assidui lettori. Vi sono intere parti dedicate alla descrizione, innumerevoli canzoni, per non parlare della parte dedicata al soggiorno a Gran Burrone, che rischia di essere più lungo dell'intera storia. Ma nonostante questo, se si è amanti del fantasy in generale, e del Signore degli anelli in particolare, la lettura di questo capolavoro non può mancare.

 

4) Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino (Christiane F)

I ragazzi dello zoo di Berlino è un romanzo che potremmodefinire tosto , non tanto per la narrazione, (in prima persona sottoforma di intervista, in cui mancano quasi totalmente i dialoghi) a cui si fa subito abitudine, quanto per la storia.

Che sia un romanzo incentrato sulla droga non è una novità, ma il modo in cui questa realtà viene descritta, e la leggerezza con cui Christiane spesso racconta i fatti (come la prostituzione) scuote qualcosa dentro di noi, e ci mostra quanto cruda può essere la vita. Per chi si è limitato alla visione del film, sappia che si perde molto: il film non è in grado di rappresentare appieno questa realtà, e soprattutto buona parte del film è incentrato sulla storia tra Christiane e il fidanzato, mentre nel libro non è un evento così essenziale, anzi talvolta non viene nemmeno menzionato.

 

5) Anna Karenina (L. Tolstoj)

Anna Karenina viene spesso snobbata per via dello spessore del libro, che tende a scoraggiare il lettore. Tuttavia bastano poche pagine per innamorarsi della storia e divorare il romanzo pagina dopo pagina, fino a dispiacersi per la sua conclusione.

Una trama complessa, un alto numero di personaggi e una molteplicità di scene ed eventi paragonabili ad una serie tv.

La narrazione procede spedita, senza intoppi, senza un linguaggio altisonante e con una trama fitta.

Un classico della letteratura russa che racconta non solo la storia d'amore proibita tra Anna e Vronskij, ma anche una serie di narrazioni collaterali che ci fanno entrare a contatto con questa cultura così distante da noi, e ci permettono di comprenderla appieno.

E' essenziale prestare attenzione ai nomi dei personaggi durante la lettura: non vi sono solo nomi e patronimici, ma anche soprannomi, vezzeggiativi e diminutivi... state attenti!

 

6) Mille splendidi soli (K. Hosseini)

Un tema che viene spesso discusso in questi anni è il ruolo della donna nella società; Mille splendidi soli offre un ulteriore

approccio a questa tematica fornendoci il punto di vista di due ragazze nella Kabul musulmana.

Due ragazze, cresciute in modi completamente opposti, con visioni della vita differenti, finiscono spose dello stesso uomo, violento e possessivo.

Il tema affrontato fa riflettere molto, sia per il finale, che lascia un senso di amaro e tristezza, sia per l'immobilità delle due donne e per le ingiustizie da loro subìte. Una società chiusa, profondamente maschilista, in cui la donna non ha alcun diritto nè autonomia, è quella descritta da Hosseini. Il cacciatore di aquiloni è forse il romanzo più famoso di Hosseini: anch'esso mostra la società musulmana in modo diretto e veritiero, soffermandosi sui risvolti altrettanto crudi e agghiaccianti. Tuttavia, se si vuole approfondire il ruolo della donna nella società contemporanea, Mille splendidi soli si rivela idoneo perchè mostra, senza toni melanconici o lagnosi, la condizione della donna in una cultura così predominante nel mondo odierno.

 

7) La fattoria degli animali (G. Orwell)

Conosciuto principalmente per 1984, Orwell narra in modo satirico la Russia staliniana. La vicenda si svolge in una fattoria, dove gli animali decidono di prendere il controllo e iniziare a governarla per conto proprio.

Quella che inizialmente sembra un'iniziativa logica e democratica diventa via via la stessa situazione originaria, in cui il governo è dei pochi, che amministrano in modo dispotico e autoritario.

Non è un segreto che la figura dei maiali, coloro che diverranno i tiranni della fattoria, si ispiri a Stalin e alla sua dittatura.

E' interessante vedere come un progetto democratico e se vogliamo comunista degradi lentamente fino a raggiungere il polo opposto: un processo che non si limita a Stalin ma a tutta l'umanità e a tutta la storia.

 

8) Il grande Gatsby (F. Fitzgerald)

Questo romanzo è stato trasferito su numerose pellicole cinematrografiche, una delle più note in questi anni è quella con protagonista DiCaprio, che è in grado di rendere giustizia al racconto originario.

La storia rappresenta in modo chiaro la società americana degli anni '20, e i protagonisti sono alcuni individui dell'alta borghesia newyorkese, che non hanno altra occupazione che divertirsi, andare alle feste e ballare. Ed è in questo contesto che troviamo Gatsby, un uomo che ha raggiunto il suo potere e la sua ricchezza solo per conquistare la donna da lui amata. Il finale mostrerà come uno dei grandi

proverbi sia tragicamente vero: i soldi non fanno la felicità. È questo che colpisce leggendo il romanzo: non le dettagliate descrizioni di feste e ricevimenti e nemmeno la storia d'amore, ma la solitudine dei due personaggi, che nonostante la ricchezza non sono in grado di essere felici. È anche importante sottolineare come sia evidente qui che un amore del genere, soffocante, ossessivo, messo al primo posto, è solamente nocivo. Sono senz'altro due grandi lezione di vita.

 

9) Addio alle armi (E. Hemingway)

In Italia abbiamo numerosi romanzi ambientati durante la prima guerra mondiale, ma Addio alle armi se ne distingue perchè è scritto da un americano e ambientato nel nord Italia, e quindi offre un punto di vista diverso.

La tipica storia tra soldato e infermiera viene sviluppata in un modo quasi scontato, fino al colpo di scena finale che causa uno shock al lettore. Giunto alla fine del romanzo, il lettore inizia a cercare tra le note e i commenti in finale nascosto che annulli quello che ha appena letto. Ma non c'è, e si deve scendere a patti con questo.

Si rivela molto scorrevole, mai noioso, con un linguaggio fluido e comprensibile, e una storia narrata da un punto di vista insolito.

Se cattura l'interesse, si legge in poco tempo.

 

10) Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte (M.Haddon)

La storia viene narrata attraverso gli occhi di un ragazzo autistico, che decide di scoprire chi è stato ad uccidere il cane della vicina.

Stupefacente la capacità dell'autore di immedesimarsi nei panni di un ragazzino autistico ed essere in grado di descriverne le più piccole particolarità, ed è questo che, al di là della trama, rende il libro degno di essere letto.

Vediamo come il ragazzino tenti di spiegare come riesce a risolvere calcoli complessi a mente, o perchè abbia bisogno di mangiare sempre qualcosa di rosso: giunto a metà del romanzo il lettore inizia ad immedesimarsi nel protagonista e a vedere gli altri personaggi con gli occhi di Christopher. Noto è il film Rain Man, con Dustin Hoffman e Tom Cruise, chenarra il viaggio di due fratelli di cui uno autistico; questo libro è

molto simile per via dell'approccio con cui viene trattato l'autismo, ma più interessante proprio perchè la malattia viene vissuta, e non descritta.

 

11) Il centenario che saltò dalla finestra e scomparve (J.Johnasson)

Dal titolo pare uno di quei libri che troviamo alle casse della libreria e che guardiamo inorriditi. Ma il titolo inganna. La sottile ironia di Johnasson, gli strabilianti intrecci narrativi e i bizzarri personaggi rendono il tutto un'avvincente e appagante lettura, che tiene l'attenzione fino alla fine e suscita la risata nei momenti più inaspettati.

La storia è divisa in due parti: il presente, in cui Allan è appunto un centenario e vive tutte le mirabolanti avventure, e il passato, ovvero la vita di Allan prima che venisse portato in un ospizio. Si incontrano personaggi storici e personaggi fittizi (Stalin e il fratello di Einstein), situazioni reali e inventate (come i campi di prigionia in Siberia) che rendono la trama ancora più assurda e intrigante.

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12) Questo spazio è dedicato non a un libro in particolare, ma ad un libro che tu, lettore, hai trovato importante. Un libro emozionante, che ti ha tenuto incollato alle pagine fino alla fine, che ti ha permesso di vedere la realtà che ti circonda in modo diverso, che ti ha fatto riflettere, e ti ha cambiato, almeno un po'.

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Michela Bianco

Caporedattrice Sezione di Narrativa

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